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Autore: acd

Vulvodinia Prof. Micheletti

In vista della Giornata Internazionale per la Vulvodinia: l’11 novembre, abbiamo intervistato il Prof. Leonardo Micheletti,  ginecologo che da più di trentacinque anni si interessa dei disturbi vulvari. È il primo ad aver pubblicato nell’ambito della letteratura internazionale anglosassone un lavoro che può essere considerato il manifesto della nascita della vulvologia.

Professore, può spiegare in modo semplice un disturbo complesso come la vulvodinia?

È un dolore vulvare prevalentemente localizzato a livello del vestibolo (quella regione della vulva che sta davanti alla vagina) senza che ci sia una lesione organica, senza una lesione visibile.

Il dolore vulvare può essere causato da un’ulcera, da una dermatosi, da una dermatite, da un’infezione,  da un tumore ma in questi casi non parliamo di vulvodinia.

Nella vulvodinia non ci deve essere una lesione visibile che spiega quel dolore.

Sia la donna che il ginecologo, a prima vista o all’ispezione in visita, non vedono nulla: la vulva è integra.

Il termine vulvodinia indica una sindrome dolorosa. La sindrome è un insieme di fattori che danno come risultato un certo tipo di situazione.

Quali sono le terapie attualmente in uso per la cura della vulvodinia?

Due sono le terapie accreditate, l’approccio psicologico psicoterapeutico e l’approccio neurofarmacologico; quest’ultimo utilizza antidepressivi, antiepilettici e anticonvulsivanti, ma solo quelli che hanno dimostrato di funzionare sul dolore disfunzionale, che è quello che caratterizza la vulvodinia. È  fondamentale saper distinguere il dolore disfunzionale da quello neuropatico, infiammatorio e nocicettivo. Sono quattro forme di dolore differenti e non rispondono alla stessa maniera agli stessi farmaci.

La vulvodinia è caratterizzata da un dolore disfunzionale, che non dipende dall’infiammazione o dal danno di un nervo ma dalla disfunzionalità delle vie e dei centri nervosi che controllano la sensibilità.

La donna con vulvodinia percepisce come dolore uno stimolo non doloroso.

È vero che l’80% delle vulvodinie sono vestibolodinie? Che cosa le differenzia?

Bisogna saper distinguere dal punto di vista anatomico il vestibolo dal resto dell’apparato genitale, infatti il vestibolo è una componente della vulva ma si chiama vestibolo vaginale, non vestibolo vulvare, come purtroppo si vede spesso scritto in letteratura. Il termine vestibolo indica lo spazio che sta davanti a qualcos’altro. Che cosa sta davanti alla vagina? Il vestibolo vaginale. Ma che cosa c’è davanti alla vagina? La vulva. Quindi il vestibolo vaginale è la parte mucosa della vulva. La maggior parte della vulva è ricoperta da cute, parzialmente pelosa, parzialmente glabra. È difficile che il dolore vulvare senza lesione visibile colpisca la componente cutanea. Ecco perché l’80% del dolore vulvare non legato ad una lesione visibile, dicesi vulvodinia, è localizzata sul vestibolo, e allora viene chiamata vestibolodinia. E non vestibulite, perché il suffisso «-ite»  introduce un concetto infiammatorio o infettivo, che non esiste nella vulvodinia.

Un’infiammazione pregressa può essere uno tra  i fattore scatenanti, ma non la causa della vestibolodinia o vulvodinia.

Ad esempio anche il tumore che ha colpito la vulva in una parente, può scatenare in una donna che non ha il tumore un dolore alla vulva, perché fissa l’attenzione sulla propria vulva e può, in alcuni casi, avere una percezione dolorosa anche se non c’è nulla che causa dolore. Quando il fattore scatenante è qualcosa di organico o fisico, una volta risoltosi dovrebbe passare il dolore, invece il dolore può mantenersi e durare nel tempo: in questo caso il sintomo dolore si è trasformato in malattia dolorosa.

La vestibolodinia è un disturbo molto complesso, controllabile e risolvibile nell’80-90% dei casi.

La differenza tra ginecologo e vulvologo?

In realtà non esiste, nel senso che la vulvologia è una competenza interdisciplinare, non una specialità. Lo psicoterapeuta stesso, che sia medico o no, deve avere una minima competenza vulvologica. L’urologo che vuole interessarsi dei disturbi urologici della donna deve avere una competenza vulvologica, così come il dermatologo e il ginecologo. Perché? Perché la vulva è un organo di confine tra apparato genitale e dermatologico e rappresenta il simbolo della sessualità. Quindi uno psicoterapeuta che non è medico non può esimersi dall’avere i fondamenti della vulvologia, che significa sapere che sulla vulva ci sono anche malattie della pelle. Si può correre il rischio di avere lo psicoterapeuta che cura una dermatosi e dall’altra parte avere il ginecologo che cura una vulvodinia, sindrome complessa con importanti implicazioni psicologoiche, con gli antimicotici. Significa, in questo caso, non possedere una competenza vulvologica di base. Ma il termine vulvologia non è stato riconosciuto a nessun livello, non esiste neanche la visita vulvologica, dopo trent’anni che si parla di vulvodinia, dopo che nel 2002 è uscito nella letteratura anglosassone un mio articolo insieme a un importante dermatologo americano che spiega cos’è la vulvologia. Esiste la senologia, ma chi è senologo? Il radiologo che si occupa di tumore alla mammella, il radioterapista che tratta la mammella, il medico oncologo che tratta la mammella. Sono tutti senologi, eppure sono tutti specialisti differenti. Dunque la senologia è una competenza interspecialistica, come la vulvologia, anche se quest’ultima non è ancora riconosciuta a livello nazionale. Questo anche perché imparare la vulvologia è molto difficile. Io, da ginecologo, per imparare a gestire appropriatamente la vulvologia ho dovuto ristudiare la dermatologia applicata alla vulva, ho dovuto studiare le basi neurofisiologiche riguardanti le vie di trasmissione e di percezione, quindi la neurofisiologia applicata alla vulva. Nulla di questo mi è stato insegnato in nessun corso di laurea o specializzazione, ed io insegno nei miei corsi questi principi ai miei colleghi che vogliono interessarsi di vulvologia, ma la vulvologia non ha un riconoscimento ufficiale a nessun livello.

Secondo lei, che cosa deve fare una donna che soffre di vulvodinia, per evitare di entrare in quello che è definito “pellegrinaggio medico”, ovvero il sottoporsi a diverse visite da parte di differenti specialisti, senza riuscire a risolvere il proprio problema?

Ci sono pochissimi specialisti di vulvologia. Sto facendo un corso in vulvolgia in quattro tappe in cinque città d’Italia: prima tappa – introduzione alla vulvologia; seconda tappa – i lichen della vulva e la psoriasi; terza tappa – i tumori intraepiteliali della vulva; quarta tappa – il dolore vulvare e la vulvodinia. Alla fine di queste tappe i corsisti dovrebbero aver acquisito le basi per iniziare ad essere dei vulvologi, cioè saper riconoscere e saper distinguere, e non trattare certe patologie dando ad esse il nome di altre patologie. Se una donna ha un dolore vulvare, esterno, perché deve fare un tampone vaginale e utilizzare un ovulo vaginale? Questo accade perchè manca una specifica competenza vulvologica.

Ci sono due aspetti importanti da sottolineare e su cui riflettere: primo, si riconosce solo ciò che già si conosce. Il  medico che non riconosce finisce per cercare nelle sue conoscenze qualcosa di simile che attribuisce alla sua paziente, la sua paziente viene identificata, battezzata, con una patologia che non ha, e se la porta dietro per molti anni.

Secondo,  un’informazione parziale e incompleta può essere peggio della completa ignoranza. L’informazione è qualcosa che è dipendente da chi la fornisce e può essere immagazzinata su un mezzo cartaceo, sul web…la conoscenza invece dipende dall’intelligenza di chi sta usando l’informazione. Non possiamo identificare informazione con conoscenza. Ma viviamo in un mondo dove non c’è più la capacità di conoscere il significato delle parole. Per cui si sente parlare di vulvodinia, si sente parlare di lichen e si attribuiscono queste diagnosi a soggetti che non hanno la vulvodinia o lichen.

Sul web molti si professano esperti di vulvodinia. Nessuno si pone il problema di fermarsi un attimo e capire se le informazioni che possiede sono corrette; diventa  quindi fondamentale dare le informazioni più corrette possibile. 

Ciò che sappiamo sulla vulvodinia è che c’è una predisposizione genetica (ci sono almeno sei geni coinvolti tra tutti i geni che controllano la sensibilità). A questo si associa una predisposizione  psicologica, nel senso che si è visto che compare prevalentemente in soggetti che soffrono di ansia, depressione, disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione, dolori diffusi. Ricordiamo ancora che la vulvodinia è una sindrome da dolore disfunzionale e che esistono altre sindromi da dolore disfunzionale che colpiscono altri organi, e si presentano anche nei maschi.

Quali sono le sindromi da dolore disfunzionale, ovvero quelle sindromi dove c’è un apparato o un organo che è dolente ma organicamente sano?

La sindrome dell’intestino irritabile;
La sindrome da vescica dolente, che assomiglia ad una cistite perché ci sono dolore e bruciore ad orinare, e ci sono pazienti che arrivano a orinare 30 volte al giorno con urinocoltura e cistoscopia negative;
La fibromialgia, in cui compaiono dolori muscolari senza alterazioni negli esami ematochimici e radiologici;
La vulvodinia;
La sindrome temporo-mandibolare;
La sindrome della cefalea muscolotensiva.

Sono tutte sindromi in cui il sintomo è il dolore, ma non indica una malattia specifica, ma una predisposizione genetica e psicologica del soggetto a processare in maniera anomala gli stimoli del mondo esterno. Anche e soprattutto stimoli normali, non dannosi. Quindi l’organo che fa male non deve essere curato, perché sull’organo che segnala il dolore non si trova nulla di anomalo. Sono i centri che controllano il dolore che non funzionano bene. Ecco perché una delle armi principali è la psicoterapia, perché la percezione è differente dalla sensazione. La sensazione è quello che inviano i nostri organi di senso al nostro cervello: l’udito, il tatto, l’olfatto, il gusto. Poi il nostro cervello processa e dà un significato: e questo si chiama percezione.

Un esempio dove la percezione non corrisponde alla sensazione: il masochista, che si procura sensazioni di dolore per percepire piacere. E può avvenire il contrario, il paziente può percepire dolore in un organo, come se ci fosse una lesione, anche senza lesione. Non se lo inventa, ma lo percepisce. Se al medico  che gestisce la paziente vulvodinica mancano le basi neurofisiologiche, psicologiche e algologiche necessarie, diventa difficile inquadrare e gestire correttamente questa paziente.

Leonardo Micheletti, Professore Associato in Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Torino. Responsabile del Servizio di Vulvologia, Colposcopia e Patologia del Basso Tratto Genitale presso la Ginecologia e Ostetricia Universitaria 1 dell’Ospedale S. Anna di Torino

Torino, Ottobre 2021

“Ringrazio il Prof. Micheletti, che è stato disponibile per questa intervista.

Ciò che è emerso è molto importante per le donne che soffrono di vulvodinia – vestibolodinia, IL DOLORE C’É, É REALE, É PRESENTE, ma non si vede nulla.

Non è “solo una questione di testa, di dolore nella tua testa” come troppo spesso è stato detto a migliaia di Donne, ma il dolore è concreto e reale anche senza manifestazioni fisiche;  può essere psicosomatico, ma comunque reale e fisico.

Oggi ci sono molte informazioni che viaggiano sul web senza controllo, si legge di tutto e spesso queste informazioni sono contrastanti o non complete e per le donne è sempre più difficile capire a chi affidarsi per una gestione corretta del proprio disturbo.

La vulvodinia è complessa e interessa due ambiti: fisico e psicologico.

Divulgare che è solo fisica, o al contrario che è solo psichica, significa divulgare informazioni incomplete ed iniziare le donne al famoso pellegrinaggio medico.

Quello che emerge da questa intervista è che deve essere riconosciuta la tipologia di dolore, perché se il medico che visita non ha una preparazione algologica sulla complessità dell’universo dolore  ecco che per la donna inquadrare il suo disturbo diventa un calvario o finisce per ricevere un semplice elenco prestampato di farmaci che risolvono poco o nulla.

Il dolore costante e continuo, senza risoluzione porta anche alla depressione, la quale a sua volta peggiora il dolore.

Quello che è necessario è un protocollo condiviso soprattutto da chi conosce meglio la vulvodinia e che possa portare chiarezza su questa patologia che colpisce 1 donna su 7.

Dott.ssa Isabella Bodino – Consulente Sessuologa Clinica

Fondatrice di Mirya

A Mirya mi occupo di vulvodinia da un punto di vista fisico con la riabilitazione pelvica, da un punto di vista emotivo con il counseling strategico e dal punto di vista simbolico che per me è fondamentale in alcune risoluzioni della patologia, sempre in collaborazione con un medico ginecologo.

Candelora e Imbolc: Fuoco – Acqua – Purificazione

Molti anni fa, prima che il cristianesimo sostituisse i rituali e le religioni antiche, anche noi italiani veneravamo molte Dee.

Il 1° di Febbraio era dedicato a Giunone Februa o Februata (Februare: purificare tutto). In quel tempo l’anno si chiudeva a febbraio e a marzo iniziava il nuovo anno.

Il mese di Febbraio era consacrato alla purificazione fisica, emotiva, spirituale.

Le Donne giravano per casa e per le strade delle città con le torce accese, come forma di purificazione di tutti gli spazi sia privati che pubblici. Attraverso la purificazione con l’elemento fuoco, si chiudevano simbolicamente tutti i “mali” dell’anno passato per non portarli in quello nuovo.

La Dea Giunone che governava questa festa era anche il simbolo dell’amore erotico e della trinità femminile.

I tre aspetti visibili della luna (crescente-piena-calante), le tre fasi della vita della Donna (menarca – gravidanza/creazione di progetti-menopausa).

Era una ricorrenza molto sentita in tutto il mondo romano fino a quando venne trasformata nella festività della Candelora.

Ne mondo celtico si festeggiava la Dea Brigit.

Anche lei una e trina.

Regina dei Briganti, Dea della Luce, del fuoco e delle sorgenti di guarigione.

Si narrava che ci fosse sempre un calderone di fuoco acceso sulle coste, per illuminarle e rendere sicuro l’approdo delle navi che ritornavano a casa.

Le sacerdotesse di Brigit governavano il fuoco senza farlo mai spegnere.

Uno dei simboli a lei associati era il calderone, il grembo femminile dove tutto si crea e nasce.

La ritualità associata con questa Dea includeva oltre al fuoco anche l’elemento acqua.

Il nome di questa festa celtica era Imbolc, come per noi era una festa di purificazione e trasformazione.

Questa Dea venne trasformata dalla Chiesa in una Santa: Brigida.

Anche noi possiamo ancora attingere alle energie di questo periodo:  trasformazione e purificazione.

Ci sono due energie differenti che possiamo sentire: quella dell’inverno che ci spinge ancora verso il nostro interno, nelle nostre profondità e quella della primavera che spinge verso l’alto, verso fuori.

L’energia della terra spinge fuori i primi boccioli, i primi coraggiosi fiori come i crocus, che fioriscono nonostante la neve ed il terreno ancora ghiacciato.

Puoi immaginare quanta potenza c’è in un tenero germoglio che riesce a bucare il terreno duro?

Adesso  preparati a fare un rituale in casa.

Trova uno spazio di tranquillità.

Accendi una candela e accanto metti un contenitore con l’acqua (se di vetro trasparente è meglio).

Immergi le mani nell’acqua e lavale, chiedendo all’elemento e alla sua energia, di aiutarti a purificare le emozioni, il corpo.

Prendi la candela tra le mani e chiedi al fuoco la trasformazione di……(inserisci tu quello che desideri).

Poi sdraiati e copriti.

Respira 3 volte, onorando tutte le tue fasi di donna, anche tu una e trina:  vergine – madre –  strega.

Immagina di poterti spostare da dove sei, e come un essere leggero fatto di energia vai a sentire la terra, infilati dentro, senti la sua forza, la sua energia.

Diventa seme che cresce, prova a percepire la potenza che ti spinge verso l’alto e nonostante il terreno solido, freddo e duro sbuca come un verdissimo germoglio di crocus.

Senti il rinnovamento, l’aria più dolce, la luce più viva.

Inspira e preparati a sbocciare come un candido fiore bianco.

Senti il rinnovamento e la possibilità di esplorare il tuo interno.

Fai questa piccola meditazione con calma, esplora le sensazioni di ogni fase.

Buona Candelora, Buon Imbolc!

Cibi afrodisiaci: mito o realtà?

Che cosa sono i cibi afrodisiaci? La parola “afrodisiaco” deriva dal nome greco della dea dell’amore, Afrodite: i cibi afrodisiaci sono quindi quelli che dovrebbero stimolare la libido, ovvero il desiderio sessuale.

Mmh…cibo che aumenta la voglia di fare l’amore: mito o realtà? Le ricerche scientifiche sono discordanti ma è vero che alcuni alimenti contengono sostanze che possono migliorare il tuo umore o avere interessanti effetti stimolanti o tonificanti sul tuo corpo….

E pensiamo poi agli odori, ai colori e alle sensazioni tattili di alcuni cibi! Gustare qualcosa di buono, assaporandolo fino in fondo, insieme a qualcuno che ami…non è forse erotico?!

Vediamo allora alcuni cibi e sostanze che possono dare una spinta alla tua libido migliorando il tuo umore e benessere!

CIOCCOLATO FONDENTE E FRUTTA SECCA
Questi alimenti sono ricchi di triptofano, fondamentale per la sintesi della serotonina detta anche “ormone del buonumore”! E per fortuna sono anche buonissimi e li puoi utilizzare per scatenare la creatività e provare deliziose ricette! P.s hai mai visto il film Chocolat? Il film, che ha per protagonisti Juliette Binoche e Johnny Depp, è tratto dal romanzo dell’autrice britannica Joanne Harris e racconta la storia di una donna che attraverso il suo talento nella lavorazione del cioccolato riesce a portare magia, vitalità e sensualità ovunque vada!

MACA
È una pianta che nasce sulle Ande, conosciuta anche come “viagra del Perù” 😉
È ricca di principi nutritivi e vitamine e capace di migliorare la risposta allo stress e alla fatica!

FIENO GRECO
È una pianta originaria della Mesopotamia, utilizzata già da molti popoli antichi per le sue preziose proprietà. I suoi semi contengono flavonoidi e saponine: è un anti-fatica e un afrodisiaco, capace di stimolare l’eccitazione femminile e aumentare la libido in modo naturale!

PEPERONCINO
Il suo colore simboleggia la passione in molte culture e forse per questo è l’alimento per eccellenza tradizionalmente associato all’eros. Ma non è solo questione di tradizioni e teorie: i peperoncini contengono la capsaicina, una sostanza che stimola la vasodilatazione e dona un effetto…riscaldante!

Trovi Maca e Fieno greco nel nostro Lilit e il peperoncino nel nostro Lilit balm 😉

Non dimenticare l’importanza di una buona alimentazione, di un buon sonno, di prenderti cura di te e di scaricare lo stress per aumentare il tuo desiderio!

La montagna delle Donne, un viaggio nell’accettazione e nel femminile profondo

È il giorno del Trekking sulla Montagna delle Donne, un luogo da me tanto desiderato, il luogo descritto nel libro di Mamani, ed io sono lì con lui su quella montagna.

Il libro che diventa la mia realtà.

Forte dei giorni precedenti, dove sono quasi sempre stata una delle prime dietro il curandero, con lo stesso passo, mi sento pronta per arrivare in cima tra i primi! La cima è il mio premio, la cima è la consacrazione della mia forza fisica e di volontà, delle mie qualità energetiche e spirituali. Insomma: è tutto!

Ma già alla partenza, durante la cerimonia nella quale si offrono alla montagna tre foglie di coc@ (allo spirito della montagna: all’Apu), sotterrandole e chiedendo il permesso per arrivare sulla sua cima, io inizio ad avere la tachicardia. Mai avuta in vita mia.

E non siamo nemmeno partiti! Non ho ancora camminato!

Sarà l’altitudine, mi dico. Mescolata, senza averla ben dosata, alla stanchezza dei giorni precedenti.

Quando inizio a camminare sento subito la fatica, sono rallentata, ma cerco a tutti i costi di essere la prima della fila che procede con passo regolare, come avevo fatto nei giorni precedenti.

Ma mentre salgo faccio sempre più fatica, con il cuore che va a mille. Nella prima pausa lo dico a Mamani, il curandero, che mi tocca la gola con la mano usando pollice e indice e mi dice che sono le emozioni.

Le emozioni??????

Mi suggerisce la tecnica che vi ho raccontato qualche post fa: appoggiare la lingua sul palato appena sopra ai denti e tenere premuto in quel punto collegandomi con l’energia della Terra, inspirare l’energia di Pachamama (Madre Terra) e farla scorrere nel corpo.

Ci provo! Sento un miglioramento, ma è passeggero.

Dopo pochissimo tempo, il cuore ritorna a farsi sentire. La tachicardia aumenta, il passo rallenta, io non voglio rimanere indietro e mi sforzo di stare al passo. Non posso rimanere indietro, non io. Sono stata come una vigogna saltellante e autoctona durante i giorni precedenti.

Devo essere una delle prime, se non la prima, ad arrivare. Non ci sono altre opzioni.

Io come la protagonista del libro.

Io, io, io…c’è solo una parte di me presente quella in competizione, che vuole essere vista per la sua performance esterna, che non si ferma a sentire, a riflettere.

Io, io, io…un disco rotto. Devo arrivare, devo arrivare prima porca miseria!

Io che punto tutto sulla mia lingua che attiva l’energia e sulla forza fisica.

Ma non punto sulle mie emozioni e sulla mia energia che si affievolisce mentre nutre le emozioni che si ingrandiscono e mi travolgono.

Puntata sbagliata Isabella, e come dicono i croupier: rien ne va plus!

Dentro di me c’è ormai un uragano di emozioni, un impasto velenoso e pesante.

Velenoso. Pesante.

Ma non mi importa, non lo voglio sentire, voglio arrivare. Chi se ne frega delle emozioni, gambe e forza di volontà! Ne ho da vendere.

Ah la competizione: fino a quando è sprono, attivazione positiva, ispirazione e quando diventa peso e tossicità?

Quando è un trampolino per raggiungere i nostri obiettivi e quando diventa un limite al raggiungimento dei nostri obiettivi?

Non sempre è così facile da vedere.

A quel punto iniziano a passarmi davanti altre donne sul cammino. Questo mi manda in tilt.

Non lo posso contenere, la rabbia diventa grande e riempie tutto il mio corpo.

Mi arrabbio con me stessa– le emozioni aumentano ancora– e la tachicardia esplode incontenibile.

La tachicardia mi svuota, mi rallenta, mi indebolisce.

L’altitudine completa il lavoro.

Mi passano altre donne davanti, quelle che rimanevano dietro i giorni scorsi.

Quelle più lente!

Un’altra sosta, chiedo nuovamente aiuto al curandero e lui mi dice la stessa cosa: sono le tue emozioni!

Io sorda, cieca, agitata. Voglio qualcosa di più, qualcosa che faccia scomparire immediatamente quel malessere che mi limita.

Mi guarda e mi offre un sorso di Agua Florida, una colonia.

Deglutisco e penso che vomiterò a breve, ma trattengo quel sorso di colonia nello stomaco.

Ultimo aiuto.

Inutile.

Ripartono.

Certo! Una parte del gruppo, quello che doveva essere il mio gruppo, quello più veloce è arrivato da un po’ e riparte. Io sono appena arrivata.

Ma riparto.

Non tengo il passo.

I piedi rallentano sempre di più, maledizione. Ansimo (se siete stati ad altezze elevate per un trekking sapete di cosa parlo!)

Rallento e sono superata continuamente.

Ed è in quel momento, con l’ultima donna del gruppo Top, che mi supera, che lascio andare.

Permetto alle mie lacrime di scivolare sulla pelle, tracciare un rivoletto che pulisce la polvere che si è depositata sul viso.

Sono quelle lacrime che rompono la diga delle emozioni.

Le vedo. Non sono più cieca e sorda.

La tachicardia rallenta, non se ne andrà via per tutto il trekking, ma rallenta.

Un piede dietro l’altro e proseguo immergendomi dentro di me.

Perché voglio arrivare per prima?

Cosa vinco? Cosa c’è per me sulla cima?

Un viaggio di sofferenza e un godimento di qualche minuto?

Cosa mi sto perdendo? Cosa mi sta insegnando la tachicardia?

Cosa mi offre davvero la montagna delle Donne?

Cerco  la risposta a queste e altre domande.

Mi fermo per aiutare una donna in difficoltà. Aumento ancora la distanza dal primo gruppo.

Parlo con lei, offro del tè caldo.

Quella fermata di aiuto mi fa stare bene.

Cambia il mio passo, il mio cuore.

Respiro, utilizzo gli esercizi energetici che conosco.

Il respiro migliora, così la tachicardia.

Sento che c’è un cambiamento molto  profondo dentro di me,  un femminile più morbido e sapiente emergere. Era lì da sempre.

La competizione per essere la prima non ha nessun valore e non ho davvero bisogno di dimostrare al Curandero quanto sono forte.

Perché io sono forte ma anche fragile. E non voglio più nascondere la mia fragilità.

Grintosa e Dolce.

Decisa ma alcune volte bisognosa del dubbio.

Sono tante cose che la montagna mi sta mostrando.

È quel cammino, così difficile per me, il mio vero maestro.

È così potente!

Su quella montagna io cambio.

Io lascio andare…tutto.

Cambio pelle.

Il desiderio di essere lassù sulla cima, per prima, lascia il posto alla tranquillità.

Mi sento piena, stabile.

Il cuore non è come sempre, ma non mi rallenta più come prima.

Sento che cinque ore di salita mi hanno stravolta dentro.

È come aver squarciato un velo, quello che mi faceva vedere tutto con un approccio più maschile, controllante.

Sulla cima io non arrivo.

Mi fermo poco sotto, con altre persone.

Il mio cammino non è vincere la punta.

È ritrovare me, le mie qualità, guardarmi e sostenermi.

È sganciarmi dall’approvazione esterna.

Aver sperimentato quanto incidono così velocemente le emozioni sul corpo fisico, mi cambia.

Così come aver sentito nascere un femminile differente. Ho pianto tanto per questa nascita. Un pianto antico, come quando ritrovi casa e finalmente ti puoi riposare e rallentare il passo.

Forte e Gentile, posso essere così. Con gli altri e prima con me stessa.

Stanno bene insieme, è una forza più femminile. Ugualmente forte ma ha caratteristiche diverse.

Quella montagna mi ha insegnato molte cose, alcune così profonde che è difficile tradurle in parole.

Il segno di quella montagna è impresso nel mio cuore, non è mai andato via, ritorna tachicardico ogni volta che cammino e mi faccio avvolgere da qualche pensiero forte.

Bussa con delicatezza adesso, io comprendo e lavoro dentro di me.

Siamo un’ottima squadra 😉

Ho fatto trekking decisamente più impegnativi negli anni seguenti, in Himalaya, nuovamente in Perù, sul Kilimangiaro, sul vulcano Rinjani in Indonesia.…

Ma i trekking più difficili li ho fatti dentro di me, raggiungendo luoghi che non sapevo esistessero.

Risvegliando sapienze interne depositate da millenni, da tutte le donne che fanno parte della coscienza collettiva femminile, da tutte le mie antenate.

Ed è questo che offro a voi.

Un femminile intero e pieno.

Erotico e Stabile.

Con Amore e Vita

Isabella

Mestrualità e Draghi

Sono stata una ragazzina “piegata in due” dai crampi mestruali.

A scuola, quando succedeva, mia madre mi doveva venire a prendere.

Casa, divano o letto, borsa dell’acqua calda, contorta su di un fianco, chiusa.

Nei momenti peggiori, sul pavimento. Contorta anche qui, stringevo con una mano la gamba di una sedia, sul fresco delle grandi piastrelle esagonali, rosso scuro. Rosso che colava via dal mio corpo, rosso su cui poggiavo un corpo chiuso e dolorante.

Niente di organico, nulla che giustificasse il dolore.

Forse è per questo che da adulta mi sono interessata alla mestrualità, alle diverse fasi in cui entriamo ogni mese.

Alla luna che governa i nostri flussi interni e non solo i mari.

Ho viaggiato in diverse parti del mondo, per incontrare ginecologhe illuminate,  donne sapienti che insegnano ritualità antiche,  o che portano novità sull’anatomia femminile.

Ho amato studiare nei gruppi di donne provenienti da varie parti del mondo, offrivano approcci diversi alla Mestrualità.

Dalle giornate piovose di Londra, in un salone color panna, con schede anatomiche, stoffe rosse e la rappresentazione delle stagioni legate al ciclo femminile,  alle serate in Portogallo sotto la luna per scoprire approcci nuovi, racconti antichi, a riempire le narici di profumi dei fiori del mediterraneo.

I miei dolori sono scomparsi, oggi amo tutta la mia ciclicità, ho imparato ad ascoltare il corpo, ad apprezzare il flusso caldo che scorre via, conosco i significati profondi, le tecniche di rilassamento, conosco la strada per dare nuovamente importanza al sangue delle donne.

Ricordare che cos’è davvero la mestrualità è un viaggio dentro di sè, un cammino per ritrovare forza, stima, un contatto profondo con il proprio corpo: sentirlo, amarlo per com’è.

La mestrualità è anche la cartina al tornasole della salute della donna, di come gestisce le emozioni che abitano il suo corpo durante tutto il mese.

Sono affascinata dalle antiche culture pre-cristiane: avevano un approccio di sacralità al sangue mestruale.

Durante un seminario sulla sessualità legata al menarca, una donna inglese aveva un vecchio libro scritto da una tedesca nel 1988, ricordo bene questa data, 20 anni esatti ci distanziavano dal libro: parlava del Tempo del Dragone.

IL TEMPO DEL DRAGONE: il simbolo collettivo del potere delle donne mestruate, una forza non un peso, un dono non una scocciatura, una risorsa non un problema!

Il drago era uno dei simboli del femminile, uno di questi draghi/serpenti era Tiamat la Dea dell’era babilonese, la madre primordiale del popolo della Mesopotamia.

Questa Dea, aveva generato la terra attraverso il suo flusso mestruale. I babilonesi la onoravano, onoravano una donna per il suo potere di creare attraverso il suo corpo.

Si dice ci sia un legame simbolico con Mar Rosso (che rosso non è per nulla!): sulle sue sponde c’è una località che si chiama  Tihāmat Al-Ḥijaz  e Tihāmat ʿAsīr.

Il mar rosso come antico simbolo mestruale!

E’ importante preparare le ragazzine alla mestrualità, non è solo un flusso organico che si presenta una volta al mese.

Anche per una donna adulta è importante recuperare un rapporto sano con la mestrualità.

La mestruazione è indissolubilmente legata nostro concetto di femminile, alla nostra autostima a come mi rapporto con il mio corpo e alla sessualità.

Come entriamo nel menarca può incidere su tutta la nostra vita di donne, può influenzare il piacere, l’approccio alla sessualità e può incidere sulla salute del perineo.

Avere un flusso con meno dolore, uscire dalla vergogna che in alcune donne genera, ricontattare la forza della mestruazione è possibile e necessario.

BE PERIOD POSITIVE!

ISABELLA

Bocca e V@gina: un collegamento che accende!

La bocca, la vagina, le labbra ed i genitali esterni (dove ci sono altre labbra!) sono legati fin dalla loro origine: si formano dallo stesso foglietto embrionale.
Bocca e vagina hanno una mucosa molto simile.
Anche la struttura muscolare è molto somigliante, le corde vocali ricordano un perineo in miniatura.

Se la tua bocca è CHIUSA mentre fai l’amore, se i denti sono serrati, se la mascella e la mandibola tengono, trattengono e non dicono….anche la vagina ed il tuo bacino lo sono.
La domanda: «Com’è la tua bocca?» è un mantra a Mirya!
Schiudere le labbra, espirare profondamente, lasciare andare: questo ti può aiutare a rilassare tutta la muscolatura del pavimento pelvico, a sentire più piacere, a schiuderti come un fiore; se sei rilassata puoi percepire con più precisione ed intensità il piacere che si muove nel tuo bacino.

Anche la qualità del bacio ha grande influenza sulle pareti vaginali, per questo abbiamo creato LILIT BALM! labbra morbide, calde che si schiudono.
Se baci bene, con trasporto, se la tua lingua è morbida, puoi sentire che anche il canale vaginale si rilassa e la lubrificazione aumenta.
Ricorda: bocca e vagina sono sorelle!

D.ssa Isabella Bodino
Consulente Sessuale (Scuola di Sessuologia Clinica di Torino)

La Candida come alleata, un punto di vista differente

Sai che la candida è l’ultimo baluardo di difesa della flora microbica? Lo sai che, quando si manifesta, significa che sono ormai crollate le difese della flora batterica?

Il problema può originare dalla vagina stessa o dall’intestino.
Spesso, l’intestino, che è L’ALTRO CERVELLO (non il secondo), è soggetto a disbiosi che può essere causata da diversi fattori: gastroenterite, antibiotici e farmaci vari, ma anche dalle FORTI EMOZIONI che sperimentiamo ma che non dreniamo, non elaboriamo e che teniamo dentro e nutriamo quotidianamente.

La candida non è una nemica da sconfiggere, ma una preziosa ALLEATA da ascoltare, e da ridimensionare.
Sì, alleata! perché ci comunica che è in atto una difesa del nostro corpo, che si sente in qualche modo ATTACCATO o INVASO e quindi si difende.
Puoi immaginare la candida come “una supplente”: crollano i batteri, il ph si modifica e lei viene richiamata in vagina, riempie gli spazi lasciati dai batteri, crea una barriera di difesa, si moltiplica a dismisura e questa moltiplicazione diventa il problema.

È una difesa disfunzionale certo, perché crea disagio: prurito, fastidio… ma è pur sempre una difesa che ci può aiutare a cambiare il nostro modo di vivere, a cambiare il modo in cui ci alimentiamo e ci mostra di quali emozioni si nutre il nostro corpo.
Ci può insegnare ad avere più rispetto del nostro corpo, anche in relazione alla sessualità.
Scopri insieme a noi perché alimentazione, counseling e ginnastica perineale sono fondamentali per riportare l’equilibrio e liberarsi dalla candida.
SI PUO’ GUARIRE DALLA CANDIDA, ANCHE DA QUELLA PIU’ RECIDIVANTE.

D.ssa Laura Monni (Neurobiologa, Nutrizionista, Ricercatrice)

D.ssa Isabella Bodino (Consulente sessuale, Counselor, Rieducazione Pelvica)

GINNY: INTEGRATORE PER LA CANDIDA, CERCALO NEL SITO

“Mi sono innamorata, lui è sposato, presto uscirà di casa”

STORIE DI ORDINARIA ATTESA E SECONDI POSTI ALL’OMBRA

“Non ho idea di quante volte l’ho sentita questa storia, né di quante la sentirò ancora.

Il problema è che il vostro uomo uscirà di casa quando: la moglie starà meglio, i figli saranno più grandi, la nonna uscirà dall’ospedale, il suo momento di crisi sul lavoro finirà, il figlio o la figlia sarà operata di appendicite, la suocera si rimetterà dalla caduta, il fratello troverà un nuovo lavoro, la famiglia si sarà ripresa dalla morte del cane!

Il libro delle scuse è infinito.

L’80% delle volte il vostro amore non uscirà mai di casa. Il 10% delle volte uscirà per un’altra donna e non per voi, il restante 10% forse per voi.

Interessante no?

Nel frattempo, care donne che vi siete innamorate di quell’uomo che “poverino” non fa più l’amore con sua moglie da anni, (anche se lui di anni ne ha 30, 40 o 50 ed è all’apice del desiderio sessuale!) voi sarete la sua bombola di ossigeno la sua traghettatrice verso una nuova relazione.

Eh già, questo è quello che siete voi.

Lo sostenete nel rimanere in una relazione che è un po’ stanca o attraversa un momento di crisi.

Ma voi, care crocerossine, quando lo vedete di nascosto nel bar di un paesello che pochi conoscono, voi lo aiutate a rimanere e non ad andarevia. A RI-MA-NE-RE.

Chi ha una relazione conflittuale, una relazione che è diventata molto routinaria, che non offre più stimoli, quanto esce e viene da voi: si ricarica, si nutre.

Voi siete gioiose, piene di desiderio, accoglienti, lo ascoltate, lo aiutate, poverinooooo! Con quella “stronza” con cui è sposato: troppo piccola, troppo alta, troppo magra, troppo grassa, poco interessante, noiosa, poco curata, ossessionata dal fisico, superficiale, troppo profonda: una palla!

E vi avvelenate con pensieri su una donna, “la moglie”, che non conoscete. La odiate, perché non lo lascia andare!

Davvero? Povero uomo incarcerato. Salvatelo!

Voi siete una bombola di ossigeno piena di vita:  nell’incontro non portate routine, ma la novità; non ci sono problemi quotidiani ma solo progetti futuri. Niente discussioni (all’inizio, care) ma solo entusiasmo ed eros.

Lui si riempie, si ricarica, gioisce, gode e torna a casa pronto per sostenere la sua relazione! Grazie a voi! Yeppaaaaaaa!

Ma cosa succede con il passare del tempo? Questo: diventate più irritabili, siete meno gioiose, avete meno eros, collassato dall’attesa che esca di casa. Siete l’amante ma diventate l’archetipo per eccellenza della moglie “scassapalle” e lamentosa: “quando lo dici, quando le parli?”

Siete arrabbiate e giustamente: è stato ricoverato l’ennesimo parente e lui non può ancora separarsi. Suo figlio/figlia va male a scuola e la famiglia deve essere unita per risolvere il problema! Sono passati magari due anni e accidenti avete proprio scelto una famiglia sfigata in cui succede di tutto!

Perché vi accontentate del secondo posto? Di essere argento invece che oro?

Qual è il vostro spazio? La vostra presenza quanto vale? Quanto siete disposte ad umiliarvi ancora?

Nell’ombra, nel nascondimento, anche l’amore più meraviglioso di questo mondo muore. Senza luce niente sopravvive. Niente.

L’ombra, l’attesa vi corrodono la gioia, vi spengono, vi tolgono il potere. Care Donne, la relazione con un uomo sposato spesso vi toglie completamente il vostro potere. Rimanete ingabbiate, amareggiate, arrabbiate, invecchiate.

Perché gli anni, tra una scusa e un’altra passano, diventate una seconda moglie, ma senza i privilegi e i doveri, mangiate briciole velenose pur di non perderlo, senza vedere che lo avete già perso. Avete fame d’amore e pur di riempirvi vi accontentate. Non è decisamente la strada per la felicità.

Che cosa può accadere con queste premesse: fantastici scenari.

Primo scenario: forse un giorno arriverà un’altra donna, che non ha voglia di scuse, che non ha desiderio di infilarsi in un tradimento, che vuole un rapporto pulito e lui si, per quella donna si separerà e voi sarete state “Le Traghettatrici” quelle che gli hanno fatto capire che c’era ancora la possibilità di amare, di avere una relazione più profonda, ma non con voi. Cuore frantumato in 10.000 pezzi, autostima -100.000, sofferenza incalcolabile, umiliazione.

Secondo scenario: anche la vostra relazione nel frattempo è diventata: routinaria, senza luce, è meno potente, meno coinvolgente, meno interessante, è limitata e somiglia sempre di più al suo matrimonio. Quindi decide di chiudere. Cuore frantumato in 1.000 pezzi, rabbia, autostima a 0.

Terzo scenario: la moglie lo caccia e corre da voi. Felicità per qualche mese. (Non lo ha scelto lui!)

Quarto scenario: esce di casa per amore vostro, nonostante siate rimaste dentro la relazione clandestina (2%). Miracolo!

Può accadere di innamorarsi di un uomo impegnato: sì, può accadere! Nel 2021 non è certo una rarità e forse non lo è mai stato, ma occorre cambiare.

Dall’altra parte c’è un’altra donna, non lo dimenticate. Forse non sa nulla (o non vuole vedere, perché tutte le donne possono sentire se sono tradite!) o forse lo sa, ma non riesce a prendere una decisione. Non la conoscete: non giudicatela, quello che c’è dentro una coppia solo la coppia lo sa.

Non ci insegnano a “sentire” ad amare in profondità, non ci insegnano nulla riguardo all’amore e al rispetto nella coppia, dando per scontato che l’amore sia qualcosa che si svolge da sé, un programma interno. Allora è un programma mancante, vecchio! Non più funzionale: da rettificare, da ricaricare con informazioni più utili per l’era caotica amorosa in cui viviamo!

Uscite da queste relazioni tossiche, non portano a nulla.

Fate un passo indietro, rispettate voi stesse, ambite al primo posto e ad un rapporto sotto la luce del sole. Lo meritate, così come la moglie ha bisogno della verità. Ricordate che quella donna non merita di essere tradita, perché nessuno merita di essere umiliato e ingannato.

Un giorno quella donna potreste esser voi. Avete un’idea di quanto fa male? Vi siete mai fermate a pensare a questo?

Uscite da questa relazione, se davvero è stato un incontro profondo, se è nato un amore, l’unico modo per proteggerlo è nella verità.

Se l’uomo è davvero innamorato di voi, se anche per lui è stato un incontro importante, prenderà responsabilità e non mentirà più.

Lo amate? Allora aspettate di avere le condizioni pulite per iniziare una relazione: questo è l’unico modo per far crescere un Amore e per avere un uomo maturo.

Difficile? Si, certo, lo è. Lasciare andare qualcuno che si ama è difficile, ma possibile.

Guardate meglio: è decisamente più pericoloso perdere tutta l’autostima, il potere interno, essere una bombola di ossigeno o una traghettatrice, essere sempre al secondo posto, argento invece che oro, essere una donna da nascondere.

VOI NON SIETE DONNE DA NASCONDERE! SIETE ORO CHE LUCCICA ALLA LUCE DEL SOLE!

Meglio un passo indietro e soffrire per un po’ che fungere da bombola di ossigeno!”

Questo raccontava quella donna dai capelli corvini, in piedi davanti agli scaffali colmi, nella Bottega dell’Amore.

Isabella, curiosa frequentatrice della bottega.

Apprendista nella bottega dell’amore

Ci sono! Sono dentro.

Mi hanno presa. Sono venuta per anni in questa bottega.

Sono apprendista: apprendista alla Bottega Dell’Amore!

Mi chiedi perché sono così felice, faccio solo l’apprendista!

Ma come? Lo sai che non è per tutti? Non tutti trovano la porta della Bottega, eppure è in tutte le città, in tutti i paesi, dove ci sono esseri umani: lì c’è una Bottega dell’Amore. Pochi la cercano, pensano non esista. Pochi hanno il coraggio di entrare.

Io ci lavoro. Io ci lavoro adesso!

Sono venuta per anni ad acquistare i loro prodotti, l’ho trovata perché l’ho cercata, ho sempre creduto in questa bottega.

E adesso ci lavoro: sì, apprendista. Senti come suona.  A P P R E N D I S T A

Mi stai guardano in modo strano.

Non comprendi vero?

Allora ti racconto di ieri.

Ero appena arrivata.

La signora con i capelli neri, lunghi, lisci mi dice:

“Benvenuta, ma non toccare nulla, tu stai al bancone: incarti. Ma bada bene che l’incarto è tanto importante quanto il prodotto”.

Dopodichési sposta nella saletta accanto, dove sono sedute diverse donne e uomini che l’attendono.

La saletta è ampia, ha le pareti color nocciola, spesse tende rosse che leccano il pavimento, lampadari di cristallo, sedie di velluto cremisi, un pavimento di legno antico e levigato. L’aria sa di cedro.

La donna dai capelli neri e lunghi si siede davanti a loro e inizia a raccontare:

“Amare in profondità è come fare un viaggio a piedi scalzi su tutta la pelle della Terra.

Ci vuole coraggio. Il desiderio di Amare deve essere potente. Ci vuole costanza, impegno.

Si attraversano prati lussureggianti, pieni di fiori, dove i vostri piedi si posano leggeri, dove il vostro cuore è aperto e appagato;camminate nelle foreste attraversate da fiumi di acque trasparenti e vive.

Il vostro cuore si apre di più e amate, amate, amate! Tutto va bene.

Ma incontrate anche deserti ustionanti, dove non c’è vita, dove l’aria è calda e brucia la gola, dove gli occhi non vedono più bene. Cespugli di rovi che graffiano la pelle, calde lacrime che scivolano sulle guance secche.

Montagne dove siete pugnalati alle spalle. Dove, arrivati in cima, potete vedere meglio il paesaggio e forse non è quello che vi aspettavate, non è il paesaggio dell’inizio. Forse non lo è mai stato.

Forse lo è stato ma è cambiato.

L’amore è così.

Ci vuole coraggio.

La stessa quantità di amore che vi permettete di sentire, è la stessa quantità di dolore che ne prenderà il posto.

L’amore è così.

Ci vuole coraggio.

Per questo molti hanno uno spazio più ridotto nel cuore. Amano meno, pensando di soffrire meno.

Immaginate di avere un contenitore che accoglie diciamo “dieci” di Amore. Se perdo questa quantità sarà possibile contenere il dolore. E’ un dolore da “dieci”, si può fare.

Ma se decido di amare “mille”, quando questo amore non ci sarà più io sentirò un dolore da “mille” e contenerlo sarà più difficile.

Ma se apro a “diecimila”? Forse posso morire di dolore.

L’amore è così.

E’ una questione di contenitore.

Ad Amare si impara. Amare in profondità è un viaggio sulla pelle della Terra. Senza scarpe. Si sentono tutti i terreni.

Aprire il cuore, spalancarlo a qualcuno significa essere esposti, senza pelle. Ipersensibili

Una mosca che passa, sembra un aereo da guerra. Tutto diventa più pericoloso.

Amare con grande profondità non è per tutti, è per pochi.

Per i coraggiosi. Per chi capisce che è l’esperienza più potente da fare in una vita.

E voi? Voi che siete seduti qui davanti a me, siete coraggiosi?

Quanto è aperto il vostro cuore, quanto amore lasciate entrare?

Quanto amore date?

Oppure è chiuso? Lo avete serrato dopo un dolore? Lo avete avvolto in un’armatura di ferro dopo un tradimento?

Forse non lo avete mai aperto, così avete amato in superficie e ve ne siete sempre andati prima dell’altro/dell’altra?

Il centro del cuore si chiama anche Anahata, uno dei suoi significati è “Mai colpito”.

Significa che nel suo interno il vostro cuore è integro. Niente lo ha mai raggiunto.

Si fermano sul pericardio i dolori, sulla pelle del cuore.

E’ una pelle che lo protegge. Potete immaginarla come la trama di un tessuto, più la trama è stretta e più i dolori si incastrano,e rimangono lì, lo impregnano diventando parte di lui.

Se invece lo allargo, se respiro e lascio andare, se desidero aprire posso permettere a questi dolori di toccare le maglie del pericardio, ma poi scivolano via.

E’ il desiderio che cambia lo stato del vostro cuore, è credere in una qualità di amore trasparente, pulito, profondo.

Potete chiudere gli occhi: provate a sentire di che qualità di amore avete bisogno e desiderio”.

L’Amore ripaga i coraggiosi: permette loro un sapore più intenso quando i cibi passano sulle papille gustative, dilaga in ogni cellula portando gioia e ispirazione.

L’Amore ripaga i coraggiosi: innaffia i corpi di piacere, rende ogni cosa più vivida.

L’Amore ripaga i coraggiosi: dà loro il senso della vita, la ragione della camminata sulla terra.

Si! Vale la pena di avere “mille” di amore nonostante ci sia una possibilità di perderlo.

Capisci? Io sono al bancone, ma posso sentire questi racconti. E incarto, incarto i loro prodotti.

Sono un’apprendista nella Bottega dell’Amore.

Perché piangi? Puoi cercarla anche tu la Bottega, a nessuno è negata l’entrata. Ma devi crederci, devi volerlo un amore così!

Isabella

Apprendista nella Bottega dell’Amore.

Bivi sulla linea del tempo

2008

molti anni fa, più vite vissute, in quel momento c’era una donna alla ricerca dell’Amore: IO .

Alla ricerca di come poter amare in profondità, dello spazio adatto per poter amare in modo profondo e nutriente.

In cima alla collina di noccioli, la Signora delle Parole mescola con un bastone di legno un calderone fumante di lettere.

Luna colata sui capelli che accompagnano la danza del vento della notte.

Fila un libro di ragnatela, prezioso e forte, leggero e profondo, undici nomi tra le gocce di vapore.

Mi scandisce i tempi.

No! Troppa premura.

La tua è solo paura!

Il vento mi spinge, apre l’armadio dei racconti sospesi, strappa via dalla gruccia la mia poesia.

Fermo!

Ahahah, ride, e tu vorresti fermare me? che soffio di tramontana così forte e deciso… io sono libero.

Il racconto è stato ormai preso.

La Signora delle Parole batte il bastone sulla terra che si abbandona al piacere del fresco.

Presto, presto!

Arriva il Signor Paura Delgiudizio, con il suo mantello mi avvolge e dubbi sussurra all’orecchio.

Concordo! Il racconto mi brucia tra le dita, io tempo non ne ho, esperienza nemmeno.

Passo alla prossima, ma la gruccia per sospenderlo non c’è più.

Il vento gelido l’ha inghiottita e se ne è andato, così forte che ha scardinato le porte del mio armadio.

La Signora delle Parole alza il bastone, lo fende nell’aria, una stella si incastona sulla punta.

Apri la mano, lascialo libero!

Allora sia! Prendo il Signor Delgiudizio e lo accompagno, con tenerezza, fuori… dalla mia vita.

In cima alla collina di noccioli abbraccio il vento diventato Fennec, una volpe del deserto, nelle notti stellate cavalcando sul suo dorso ho conosciuto la magia.

BIVI SULLA LINEA DEL TEMPO

Respiro.

Sto esplorando parti di me che non sapevo esistessero, parti buie e dolorose.

Mai avrei immaginato di averle.

Respiro, respiro, respiro. Ho respirato troppo, cazzo! Adesso ho mal di testa, sono in iperventilazione.

E’ solo finito un Amore, uno dei tanti amori nel mondo. Solo una storia.

No, la mia era diversa, lui era diverso. Il  nostro rapporto unico.

Mi fa male lo stomaco, non incontrerò più un uomo così.

Lo sai vero di cosa sto parlando.

Mi piace come cammina, come parla, la sua voce! E quei capelli, morbidi ma forti, quando ci infili le mani, il suo modo di ridere.

Che cosa resta alla fine di un Amore? Dolore, panico, senso di abbandono, delusione. Tutto qui?

No, molto di più,  un mondo che emerge.

Sapete cosa si prova quando incontri per la prima volta occhi sconosciuti, ma che tu riconosci? Alcuni lo chiamano colpo di fulmine: non sai chi è, ma da iride a iride quel qualcosa entra dentro e scivola fino a depositarsi in fondo al cuore. Come un fluido caldo e morbido, e crescerà, impregnerà tutto il corpo, farà danzare la mente, scalpitare il cuore. Farà muovere mani e intrecciare corpi.

Quel qualcosa non ha nome, ma è!

Anima gemella? Così mi è stata definita da questa signora di età infinita, che con aria grave cerca di darmi consigli. Cosa ci faccio qui ancora non lo so, ma un’amica è stata così insistente, mi ha detto:“Vai, ha un dono molto grande questa signora, potrà aiutarti in cose che tu non riesci a vedere.”

Sto pensando che forse avrei fatto meglio a spendere questo denaro per altro. Si ricorderà ancora questa signora di che cos’è l’amore? E lo ha mai trovato davvero?

Mi sembra la maga del cartone la Principessa ed il Ranocchio, quella incartapecorita che canta nella foresta e fa magie, battendo con il bastone la testa dei due che sono andati in cerca di risposte e non capiscono l’amore. Io uguale.

Che cos’è un’anima gemella?  Le chiedo.

Spiega la saggia signora che un’anima prima di reincarnarsi, si divide in due o più parti e queste parti tutta la vita cercheranno di ritrovarsi per potersi unire.

La persona che hai davanti, che sta ridendo dentro ai tuoi occhi, ti piace moltissimo perché già la conosci. Ah! Beh, semplice no? Non troppo complicato da capire.

Allora, signora, può spiegarmi perché lui non c’è più?! Mi spieghi perché è tutto FINITO?!!

Dice la saggia che non sempre due anime che sono gemelle e che si sono ritrovate potranno vivere insieme. Ma è l’insegnamento che porta il contatto la cosa più importante.

Basta. Davvero, è troppo, tutto è il contrario di tutto. L’insegnamento? L’insegnamento?

L’unica cosa che ho imparato è che prima ho sempre amato in modo superficiale e sono sempre stata bene. E l’unica volta che ho aperto il cuore e mi sono data, completamente, ho dato tutto il mio essere, la mia essenza, ho dato me stessa ad un’altra persona, è stato il caos.

Io sto male, voglio risposte precise, soluzioni. Spiegazioni razionali che sfamino la mente, coccole che curino il cuore.

“C’è qualcosa che devi capire”. Mi alzo, pago, me ne vado. Se potessi capirlo da sola non sarei venuta qui!

Oggi lui è lontano e se ci penso gli occhi si riempiono di lacrime, ma non le lascio scivolare, respiro, ancora, senza iperventilare.

Com’è potuto accadere?

Scivolo nella prima sera del nostro vero incontro, il nostro primo toccarsi.

Pizzeria, amici.

Ho i capelli lunghi, folti, lisci e scuri, che accarezzano sulla schiena un vestito di raso a fiori, stretto, lungo fino al ginocchio,  un fiore rosso dietro all’orecchio, l’ho preso nel vaso sul tavolo.

Lo so che gli piaccio così, so bene che quel fiore avrà un certo effetto su di lui.

Si chiama sesto senso, quello che usiamo sempre all’inizio delle relazioni, poi lo chiudiamo a chiave a doppia mandata, quando invece sarebbe molto utile.

Donne, io dico, piccole fatine stordite, che perdono le ali nella relazione!

Seduta vicino a lui, fremo, non mi interessa la pizza, né le chiacchiere, voglio solo che la cena finisca presto.

Le gambe si sfiorano sotto il tavolo, mi sento un fuoco d’artificio pronto ad esplodere.

E’ ora di andare a casa, ma io non ho la macchina, lui si offre di accompagnarmi. Così voglio che succeda e così è.

L’attrazione fisica è alle stelle, tutti e due molto agitati. Eppure siamo adulti, non alla prima cotta da adolescenti! Ma è come non sapessi più nulla, come se fosse tutto nuovo, reazioni e sensazioni amplificate.

Nessuno dei due parla, ma la macchina è chiaro che si fermerà in un posto tranquillo.

E’ amore, dietro, sul sedile posteriore, lui seduto e io sopra. Le bocche si gustano per la prima volta, il fiore scivola in terra, le sue mani con gentilezza abbassano la cerniera del mio vestito.

E’ così delicato, tutto sparisce, la macchina, il buio. Ma è così forte e con una passione immensa che perdo il senso del tempo e di dove siamo. Solo due corpi che si fondono per diventare uno.

Una fusione completa, come se avessimo ritrovato casa.

Quello che abbiamo provato è stato così speciale ed inaspettato che dopo non abbiamo parole adeguate, non esistono parole così belle e profonde per descrivere cos’è successo.

Solo pupilla dentro pupilla le parole si formano così.

La macchina dell’amore ha inizio. La scatola di colori sgargianti si apre. Le giornate sono più pulite, più vive. Il cibo ha meno fascino, eppure i vent’anni entrambi li abbiamo passati da un po’.

Ma i sintomi sono gli stessi di una ragazzina al primo amore.

Ecco le pennellate d’amore, le sue mail poetiche che mi accarezzano il cuore:

“Due anime gentili vagano per il mondo, per anni, tanti anni. Crescono, imparano, diventano grandi, ma soltanto da fuori. Si incastrano nel mondo che poco ha a che spartire con quello che loro sono realmente. Si incastrano, entrano a far parte della normalità, camminano in mezzo a questo mondo, lo digeriscono ogni giorno, per anni.

Non fa quasi più male, è una scorza dura sul cuore che con  il tempo diventa più spessa e lo isola sempre di più. Finisce però per soffocarlo, il cuore, e allora qualcosa accade.

Le due anime, che si sono sfiorate chissà quante volte neppure accorgendosi l’una dell’altra, si scontrano, con forza, un giorno di foglie secche.

Qualcosa accade.

Riappaiono i colori, la fotografia di loro due si colora, lentamente, iniziando dai bordi, un giorno dopo l’altro.

Le due anime ricordano di essere anche bambini, di non essere in realtà mai cresciuti.

Come i bambini hanno voglia di giocare, di ridere, di nascondersi alla vista degli adulti… e lo fanno, si nascondono, si calano dalla finestra, ognuno dalla propria e si incontrano.

E’ speciale, emozionante.

Si scoprono, si guardano, si toccano, si parlano, si stringono in silenzi lunghissimi.

Ogni incontro è una nuova fotografia.

Poi frettolosamente ritirano i giocattoli e rientrano ognuno nella propria finestra, nel proprio pezzetto di mondo, sognando che un giorno il mondo ritorni ad essere quello vero, quello dell’albero di ciliegie, seduti assieme su di un ramo, con le gambe a penzoloni per una vita intera”.

Solo parole in una mail, ma quanta importanza diamo noi alle parole, come entrano dentro, coccolano, legano. E poi quale uomo, se non uno con una meraviglia dentro può scrivere mail così toccanti?

Il rapporto diventa come un fiore che piano piano sboccia, si rivela di un colore diverso dal bocciolo bianco dell’inizio, ora è fucsia bordato di chiaro.

Gli angoli della bocca sono all’insù, è come essere diventata minuscola e poter entrare dentro di lui, come un piccolo sottomarino che ne esplora le profondità.

Lui mi guarda, non riesce ancora a dirmi che mi ama, ma lo dice con gli occhi. Mentre mi guarda lo sento entrare dentro di me, il cuore si espande. Capisco che non servono parole vere. E’ tutto così chiaro. Mi affido e mi FIDO di me. Sono sicura. Sicura di quello che provo, sicura di quello che prova lui.

Chiamo e risponde sempre, e quanto chiamiamo noi, fatine stordite! Un messaggio e poco dopo il telefono trilla.

Mi dice che gli sembra di avere gli occhi più grandi, non come il lupo di cappuccetto, ma occhi per vedere meglio chi è LUI.

Io sono il suo specchio, ma non lo so. Io sono entrata dentro di lui ed ho visto CHI E’. La sua parte meravigliosa. Continuo a guardare quella perché una donna questo lo sa fare bene e la coltivo.

Lui riesce a vedersi meglio, per la prima volta in tanti anni, riconosce di avere le qualità che io gli mostro, sì proprio così. Lui è un geode di ametista, quelle pietre che a prima vista non sono un granché, se non fossi un esperto le butteresti via, ma dentro ci sono cristalli scintillanti di colore viola intenso e io in questo caso sono l’esperta dell’uomo/geode. Vedo chi può diventare, io lo vedo bene. Ne sono convinta e lo rimando a lui.

E’ tutto perfetto, bello, intenso, ma non comprendo che l’energia dell’amore, che impiego nel rapporto, va a lui e fa sì che tutto proceda in modo meraviglioso.

Ma i mesi passano, scorre l’anno e piano piano i colori sono meno vivi. Colano lentamente come un trucco dopo una nottata vagabonda. Qualcosa non ha funzionato.

La fiducia in lui, in quello che prova, sparisce, la fiducia in me si azzera, si scioglie come una medusa al sole sulla spiaggia. Un attimo prima c’è e poi non c’è più nulla.

Non importa chi tu sia, che lavoro tu faccia. Se è finito un amore, la cantina dentro di te è il posto in cui sei, esattamente come me. In una cazzo di cantina che nemmeno sapevo esistesse.

Eppure attorno a me non è cambiato nulla, è tutto come prima. Ma i miei occhi non percepiscono più così, mi sembra che tutto abbia meno valore, che sia meno interessante, il mio lavoro che tanto amo, i miei amici. Non riesco, la mia mente è focalizzata su quell’uomo e sul volerlo.

Io non sapevo esistesse un dolore così profondo, così grande. Che riempie gli occhi, chiude la gola, stringe il cuore.

Dov’è finita la magia?

“L’hai fatta tu!” mi dice questo famoso sciamano che ho davanti.

Davvero? Allora perché non c’è più?

Lui ride. Ma cosa ride questo qui? Ho fatto quattrocento chilometri per venire da lui e avere un parere su questo dolore che non se ne vuole andare, io non so più come fare, non funziona niente e quello che mi dice è che ho costruito tutto io.

Ride, ancora, davanti alla mia bocca spalancata che non osa dire la parola che penso!

E’ sud-americano, basso, con un grande carisma. Quando ride, posso ammirare i denti forti, sono molto più grandi dei miei, spessi quasi il doppio. Per un attimo mi perdo in quella bocca così enorme e carnosa che produce risate sonore.

Noto che ha una sciarpina intorno al collo sulla pelle color rame, mentre gli chiedo perché proprio quell’uomo, che è impossibile per me, lui me lo sa dire?

Mi alzo, mi avvicino, prendo i due estremi della sciarpina e li tiro, in modo da soffocarlo, poi li infilo nella sua grande bocca aperta al riso.

“Adesso hai ancora voglia di ridere?”.

Sì, ancora sorride. Era la mia immaginazione, sono ancora seduta davanti a lui, gambe incrociate. Testa bassa, occhi pronti a rovesciare il torrente.

Sono sempre stata scettica, su cose che non sono razionali, quelle definite “strane” ma, ora che il dolore mi rallenta, come se stessi nuotando in un lago di melassa, sarei disposta ad andare in qualunque posto per trovare qualcuno che allenti questo miscuglio di sentimenti, arrotolati in una matassa come vermi viscidi.

Lo sciamano mi sta spiegando che siamo molto diversi, l’uomo e la donna sono due mondi diversissimi, ma complementari.

La donna è come una bolla piena d’amore che contiene una bolla più piccola che è la sessualità, noi partiamo dalla bolla grande per andare verso la piccola, mentre l’uomo fa il percorso contrario, inizia dalla bolla piccola, la sessualità, e va verso quella grande, l’amore. Ci vuole tempo, non è come per noi. Questo è necessario comprenderlo.

Non presupporre nulla, mi raccomanda, cerca di vedere le cose per quello che sono, senza costruire fantasie, senza tragedia, senza supportare i tuoi pensieri con false credenze che ti sono state appiccicate.

Ogni persona che incontri è un Angelo. Ricorda questo.  Leggi “La piccola anima ed il sole”.

Oggi non funziona più la tua relazione. Lascia perdere, coltiva la pazienza, adesso non è il tempo giusto, tira fuori la donna guerriera che c’è dentro di te, tu hai un grande potere, come tutte le donne, hai potere della Dea Kalì, ricorda, quando la Dea Kalì danza tutta la terra trema. Ma questo grande potere che hai, se non compreso, porta alla distruzione.

Ricorda soprattutto questo.

Quando avrai scelto la donna guerriera, ritrova quell’uomo e prova a riprenderlo.

L’amore non dipende dal verificarsi di determinate condizioni. Al contrario, determinate condizioni si verificano come risultato dell’amore.

Allora dovrei resistere, non fare quello che d’istinto farei.

Chiamarlo, ad esempio, perché non può finire così. Perché è impossibile pensare di non vederlo più.

E’ orribile il pensiero che non senti più la sua voce, non appiccichi più la bocca contro la sua. Eccole nuovamente le lacrime.

Gli angoli della bocca si incurvano, in una piccola smorfia. Sembra che tutto perda colore. Lui era la mia scatola di colori sgargianti. Un vento fresco che mi puliva dentro.

D’accordo, lo sciamano è una persona per bene, saggio e corretto, rigoroso, mi ha dato ottimi consigli.

Ha ragione,  se guardo con attenzione, sono in un piccolo stagno che si è formato dopo una rara pioggia nella savana. Se esco fuori e mi guardo dall’alto, vedrò che sono solo in una piccola pozzanghera, non naturale, un rimasuglio di pioggia nel segno di una gomma di un fuoristrada. Se mi arrampico sul baobab lì vicino, vedrò meglio dove sono e che se mi alzo l’acqua arriva alle caviglie. Vero. Ma quanto è faticoso alzarsi da una pozzanghera,  quando la vedi con gli occhi, ma non la senti con il cuore. Quando è la mente a comandare e ti fa infilare in stradine buie, paurose e tristi…

UN ANNO E MEZZO PRIMA

“Ciao, sono Anna, per favore passa da Nicola, pare che ieri sera si sia sentito male, ambulanza, ospedale. Adesso è a casa, dice tutto a posto, lui. Ma io non mi fido, sono a Parigi da Francesca,  puoi passare tu?”

“Finisco questi bozzetti e passo, un bacio”

Anna, io la chiamo la Surfista: tre figli, un ex marito sempre in viaggio e un lavoro da manager in una multinazionale. Si occupa del reparto marketing, prodotti per bambini. Io sono un’illustratrice, spesso lavoriamo insieme per le campagne pubblicitarie.

Ha una sorella, Francesca, medico a Parigi.

Spesso le chiedo come fa a gestire tutto, la sua vita mi sembra un mare in continua tempesta. Lei “surfa”, scivola sulle onde della vita, con facilità, non si ammala mai, mai un raffreddore, un’influenzina e mi sembra serena. E quando accade qualcosa, semplicemente prende un surf più grande per scivolare meglio sui cavalloni enormi!

Ha scelto la carriera, l’amore uno, una volta. Andato. Adesso la sua passione sono i figli e il suo lavoro, ma sono aperta, dice, sono sicura che arriverà un uomo speciale!

Nicola, il fratello di Anna, pittore genio sregolato. Per giorni e settimane non lavora, cucina piatti elaborati per amici, organizza cene divertenti con persone simpatiche ed acute, va camminare in montagna con qualunque tempo. Poi, come un tornado, arriva l’ispirazione e per giorni e settimane dipinge come un pazzo, dimenticandosi spesso di mangiare e dormendo poco.

Quando sono arrivata Nicola non era solo, c’era questo Lorenzo, un curacuori, in gergo tecnico un cardiochirurgo. Era stato lui a visitarlo ed erano diventati amici, Nicola è esplosivo, difficile non rimanere affascinati.

Era collassato su di un quadro formato tre per tre, finendo in terra con il viso incollato alla tela, era arrivato in pronto soccorso con il viso pieno di colori ad olio e i vestiti diventati arcobaleno!

Era stato rispedito a casa dopo qualche ora, con la raccomandazione di regolare i ritmi sonno/veglia e di curare l’alimentazione.

Ed eccomi lì, seduta sul divano vicino al curacuori, sorridente come un’ebete. Mi era piaciuto subito, il suo sorriso, i suoi capelli così folti. La sua risata. I suoi denti. Era stato facile entrare in contatto con lui.

Avevamo lo stesso modo di scherzare, di ridere, conversare con lui era bellissimo.

Dal quel giorno ci eravamo visti molte volte, sempre a casa di Nicola, poi nel bar sotto il mio studio.

Lorenzo si sarebbe sposato tra otto mesi, lo sapevo dalla prima sera in cui l’avevo conosciuto. Era stato chiaro, limpido, corretto. Si sposava con una compagna di Università incontrata nuovamente anni dopo. Tanti auguri.  Erano insieme da tre anni. Ma io cercavo nuove amicizie, niente più, anche io ero fidanzata, sì, mi piaceva, ma non volevo nulla. Forse spezzare un po’ la routine, dopo un rapporto di quattro anni.

E’ iniziata per gioco, per divertimento, qualche mail simpatica. E Dio solo sa quanto io sia simpatica! Niente di male, che c’è di male in qualche mail?

E così, una mail, dieci mail, cento mail. Per un po’ di tempo avevamo fatto finta di nulla, come se a entrambi bastassero quelle mail, avevamo messo da parte il coup de foudre, come dicono i francesi.

Qualche telefonata, qualche risata davanti ad un caffè, ma poi la passione era esplosa, era diventata così densa che si sarebbe potuta tagliare con un coltello, tanto era compatta e solida.

Era diventato un sogno notturno ricorrente, il primo pensiero al mattino, l’ultimo prima di dormire.

C’era stata la serata in pizzeria.

Io avevo lasciato il mio compagno.

Va bene, basta scivolare nei ricordi, andare indietro. Non ho mai avuto difficoltà con gli uomini, chi sarà mai questo.

Perché non riesco ad uscirne, perché non ho più gli angoli della bocca all’insù?

Ho un temporale continuo dentro, vorrei dare tutta la colpa a lui.

Vorrei aprire una porticina nella mia testa e fare uscire il suo ricordo.

Questa volta non è così facile, questa volta ci siamo esplorati a vicenda. Non lo sapevo prima che ci si potesse toccare dentro, accarezzare il cuore con le dita, non lo avevo mai provato. Ridere dentro la bocca di un altro. Non avevo mai compreso che cosa volesse dire trovare casa nel corpo di un altro. Oggi lo so.

Questa volta è diverso. E’stato Amore, Amore Profondo.

Sto finendo di disegnare un bosco, ho creato dei personaggi simpatici, una donna si è inventata un popolo dispettoso che vive nei sotterranei di un bosco.

Mi appoggio allo schienale della sedia,  poso la matita, chiudo gli occhi.

E’ un bosco, è estate, abbiamo lasciato la macchina sul ciglio della strada sterrata. Ci siamo arrampicati in cima alla collina di castagni. Una coperta stesa a terra, due piccole candele, alcuni panini.

Le bocche piene di risate, perché viaggiamo sulla stessa lunghezza d’onda. Ci capiamo immediatamente. Lui è super attrezzato, una pila, un maglione in più anche per me, un thermos di caffè. Io ho un vestito rosso e scarpette verdi di vernice con tanto di tacco. Mi guarda e ride, sì lo so, forse non è l’abbigliamento giusto, ma tanto non dobbiamo camminare! Ed ho così voglia di essere bella per lui.

E’ il suo compleanno e ho una meravigliosa maglia da regalare, no, non è reale, sono parole su un foglio di carta:

“Prendi questo riccio, dentro troverai una maglietta, sembra minuscola ma vedrai che indossandola ti calzerà perfettamente. E’ leggerissima, quasi trasparente, fresca di giorno quando il sole urla e fa sentire tutto il suo potere, calda di notte quando il deserto rimane senza il suo padrone. E’ tessuta con fili speciali, fili di bene, caldi di amore, fili di tenerezza, di gioia, passione, fili di carezze, risate, fili di baci freschi, fili di ammirazione per quello che sei, di coraggio e infine un solo filo d’oro di piccola follia. Indossala, ti sentirai bene, si adatterà a tutti gli umori tuoi, quando sarà sulla tua pelle creerà me. Entrerò piano, piccolissima, pochi centimetri, dentro il tuo cuore. Appoggia la tua mano destra proprio al centro del petto, sentirai la mia e saprai chi sono per te”.

Lui si commuove, gli occhi lucidi, ma è un uomo e trattiene. Io lo sento, c’è un amore profondo che scorre. Mi siedo tra le sue gambe, la schiena appoggiata al suo petto, sta diventando buio, piccole lucciole si avvicinano, è come essere finiti in un bosco della Disney! E’ magia vera! E’ tutto vero, e’ come avere un caldo liquido che scorre nel corpo, un cuore gonfio come un palloncino pronto per esplodere, teso ed enorme!

Il sorriso è goduto come quello che ho letto tanto volte nei libri, in quei romanzi che tanto ho amato, ma questa volta tocca a me, è tutto vero.

Mi giro lo guardo negli occhi, non c’è parola al mondo che sia adeguata per quello che c’è in questo momento. Lo bacio, sento le labbra calde e morbide, casa mia. Ecco dov’è la mia casa. Infilo la testa tra il collo e la spalla e annuso la sua pelle.

Facciamo l’amore profondamente, in mezzo alle lucciole, agli alberi di castagno ormai scuri e ai suoni. Sì, anche ai ricci, quelli veri, che ogni tanto infilano un pezzettino di pelle scoperta. Si CHIAMA AMORE, AMORE PURO.

E allora dov’è finito? Dove-diavolo- è-finito? Dove siamo andati noi due?

E’ la follia di avere una mente ristretta! La stupidità della non comprensione di una fine! Non possibile, non entra nel cervello, è una sbarra di titanio che non fa entrare le parole: fine di un amore.

QUATTROCENTO CHILOMETRI, HO DAVANTI A ME LO SCIAMANO.

“Sto ancora male”, mi presento così.

“Perché tu vuoi stare male, sei ancora attaccata a una cosa che non esiste più, ma non vuoi capire, sei seduta in un angolo come una finta mendicante, tendi la mano e mendichi amore.” Sospira.

“TU CERCHI AMORE FUORI, PERCHE’ NON LO HAI DENTRO!Torna dentro di te, domandati:chi si prende cura di me? chi mi rispetta? quando ho bisogno, io ci sono per me? Non posso spiegarti ciò che oggi non sei pronta ad ascoltare, sarebbe come parlare in un canyon, mi arriverebbe l’eco, dentro di te non entrerebbe una parola”.

Piango.

“Bella donna, vedo che c’è molto amore dentro di te, e vedo che anche quell’uomo ti ha amata molto, ma ora non è tempo, tu devi comprendere, lui ti ha mostrato una cosa di te, devi lasciare il controllo, contattare la passione, la passione è tua, io non ho più tempo”.

Sono parole sagge, che mi risuonano dentro, come una verità antica che conosco da sempre.

Ma la mia resistenza è grande, è troppo faticoso, dovrei smontare tutte le mie credenze, tutti i valori che mi sono stati infilati dentro. Dovrei cambiare la maggior parte dei miei pensieri. Con pazienza.

Ma pazientare, coltivare la pazienza, è troppo lento per me! Non ho più tempo per pazientare nel dolore.

Accelerare è la parola d’ordine giusta per me! ACCELERARE, VIA DAL DOLORE IN FRETTA, ORA, SUBITO.

Ecco la ricetta che funge da medicina, mi aiuto da sola, un desiderio di materia, da aspettare, una borsa preziosa, tra un mese andrò a Parigi per presentare le bozze di una campagna per una linea di abbigliamento per bambini, la comprerò. E’ un desiderio che si trasforma in ossessione, vuole scacciare l’ossessione e il desiderio di Lui.

Seduta a gambe incrociate sul letto, la guardo su internet, è bellissima, sono sicura che se riesco ad acquistare quella borsa, e se imparerò a respirare meglio, io starò meglio. Si chiama Mahina, la borsa, solo il nome mi fa sentire bene. Sa di libertà, di terre lontane. La desidero come un amuleto, che può scacciare e proteggere.

Il prezzo non è certo per le mie tasche. Ma sono pronta a risparmiare in modo adeguato: la prenderò. Io la voglio. La comprerò. Perché un gioiello simile non potrà che far gioire il mio cuore. Mi sento meglio, in effetti ho la sensazione di essere più leggera. Bene, lo racconterò ad Anna, la mia amica, mi sta aspettando al parco per pranzare insieme.

Stringo i denti, mi siedo sul bordo del letto. Mi lascio andare indietro, sprofondare nel materasso, mentre le lacrime colano ai lati degli occhi e si infilano nelle orecchie. Magari bastasse tappare le orecchie per non sentire il dolore al petto. Accidenti è come stare su un ottovolante, sei su, sei giù. Cibo, parco, mi ha fatto ricordare. Il signor tempo ha chiuso la porta dell’estate, quella verde e blu, e ha aperto quella dell’autunno, marrone e rosso scuro.

Lorenzo è tornato da un congresso. Immagino non abbia nulla nel frigo. Mi fa tenerezza, ecco la mia parte di mamma.

La mia mente si mette all’opera, dà la mano alla fantasia in una indissolubile meravigliosa idea. Un pranzetto speciale. Cucino bene, io.

Un filetto di orata appena pescata, lo cucino in forno con un pezzo di zenzero fresco, tagliato a spicchi, aglio e aghi di rosmarino, accarezzato da un filo d’olio.

Un’insalatina fresca come antipasto, lattuga e quell’altra di cui non ricordo mai il nome, di colore quasi violaceo, fiori di rosmarino che sembrano piccole orchidee e semi di sesamo tostati. Il condimento a base di olio e senape a parte, ovviamente, non voglio certo che l’insalatina si cuocia. E’ per Monsieur Le Prince.

Lamponi tardivi, li ho scovati in un piccolo fruttivendolo in città, dolcissimi, mi hanno assicurato. Li lavo e li metto delicatamente in uno dei barattoli di plastica trasparente che ho comprato appositamente per questo pranzo-sorpresa. Su ogni barattolo attacco un adesivo di feltro, sa di casa, morbido e colorato, proprio sul tappo.

Impilo tutto in una borsa di carta con le maniglie, chiudo con la pinzatrice, due fiocchi di rafia verde e lilla. Ho fatto tutto con molto amore, mi sento bene. Soddisfatta e serena.

Voglio mettere il sacchetto in un posto speciale. C’è un parco vicino al suo studio, molto bello adesso che gli alberi stanno cambiando colore. Lo metterò ai piedi di un albero.

Adoro gli alberi, radici ben piantate in terra e rami protratti verso il blu del cielo. Esattamente come dovremmo essere noi, ferme con i piedi infilati nella terra, radicate! Ma con i nostri progetti espansi verso il cielo. E’ un sacchetto d’amore, pieno zeppo, grondante di amore che provo per lui. Ne è intriso, gocciola calore.

Lui lo sente, ne è toccato. Mai nessuno gli ha lasciato un sacchetto così. Lo stupisco, gli accarezzo il cuore con un soffio d’aria tiepida. Allargo dolcemente la cintura che stringe il suo petto. Non ha mai aperto così. So che ha paura.

Lo aiuto ad esprimere quello che prova, lo so, non è facile. Noi donne siamo bocche piene di parole dolci, di ti voglio beneamoreche sgomitano per chi esce prima. Lui no, è troppo. Ma poi lo fa.

Il primo sms con un TI VOGLIO BENE, mi fa l’effetto di un Prozac, su in alto.

E’ solo un ti voglio bene, io ne ho già scritti decine, ma per lui è il primo. Ed è un mondo. Mi dà una dolcezza infinita, mi apre il cuore. Sento quell’amore traboccante che è così grande che non so come gestirlo, come controllarlo.

Poi un giorno sparisce, come una bolla di sapone. Pfuuu!

La borsa Mahina è ormai diventata il mio chiodo fisso, la guardo tutti i giorni, ne ammiro i particolari. Me la gusto come se fosse già sulla mia spalla. L’ossessione che prende il posto di Lui.

Finalmente sono a Parigi, è primavera. Profuma di fiori che sbocciano colorati in ogni aiuola. Sono le quattro meno dieci. Pochi minuti e ho finito la riunione con i grandi capi, solo un giorno e mezzo ma abbastanza per soddisfare quello che è diventato il mio salvacuore.

Champs Elisée, sono davanti al negozio di Vuitton, sono emozionata. Spingo la porta con le iniziali dorate ed entro.

Non voglio vedere nessuna altra borsa, voglio la mia. Io so cosa voglio, Mahina color tortora. La commessa la vuole inscatolare. Non ci pensare nemmeno, la metto subito.

Merci Madame!

Eccomi uscire fiera, testa alta e borsa in spalla, è bellissima, ne accarezzo la pelle morbida con la mano. Le impunture delicate sotto i polpastrelli, le cuciture fatte a mano.

Angoli della bocca all’insù e cammino. Mi sento forte, quasi serena, oso pensare.

Prendo un taxi e mi avvicino all’Ile Saint-Louis: è così graziosa, piccolina, piena di suoni e di colori. Imbocco una delle stradine, ai lati vetrine addobbate con ogni genere di mercanzia. Sono attratta da una vetrina piena di pietre colorate, collane e geodi. Entro dentro il negozio, è così piccolino, ma ogni spazio è occupato dalle pietre semipreziose.

Ne sono affascinata, le prendo in mano e sento che dentro di me qualcosa accade, un piccolo calore, proprio al centro del cuore. E’ quasi un’emozione godereccia, qualcosa di molto bello che mi esplode dentro. Ne tocco altre, le guardo, le rigiro tra le mie mani. Alcune sono lisce, sono state trattate, burattate è la parola esatta del proprietario. Vengono messe grezze dentro ad una macchina insieme ad acqua e polveri e da grezze e opache diventano lisce e lucide.

Le trovo meravigliose, sembrano caramelle, i colori sono incredibilmente luminosi. Profondi, striati cangianti, con oro. Non so quale scegliere, non le conosco, mi affido al tatto. Una rosa, grande, semitrasparente, attira la mia attenzione, sembra una montagna in miniatura, con la punta arrotondata. E’ un quarzo rosa, il proprietario è innamorato delle pietre e mi spiega che ognuna di esse ha caratteristiche particolari, quella che ho scelto io serve per il cuore, per il chackra del cuore. Questa poi! Scherzando gli chiedo se ne ha una più grande, magari da attaccare al collo, si sa mai che io voglia fare un bagno nella Senna e sprofondare!!!

Mi guarda con disappunto, parbleau! Roba seria, ma sapesse lui quanto ha bisogno il mio cuore di un balsamo, di qualcosa che sciolga quel filo nero che si sta attorcigliando attorno e lo stringe, lo indurisce. Di una qualsiasi cosa, di una cavolo di pastiglia da prendere la sera, magari di luna piena, il venerdì, da tenere sotto la lingua fino a scioglimento. Per svegliarsi il mattino dopo in perfetta salute emotiva, ricordando con dolcezza un grande amore, con la serenità della fine.

Parigi, accidenti, ci eravamo stati, in un alberghetto piccolissimo, proprio qui vicino, corpi intrecciati sotto un piumone grandissimo, in una camera nel sottotetto, mangiando schifezze e facendo le briciole nel letto, di ritorno dalla Gare d’Orsay, chiacchierando dei quadri che lui non capiva e io spiegavo, dalla finestra le luci della città, il suo rumore più in basso, le voci delle altre camere, lontane e confortanti, come nell’ovatta.

Notte, Fatina, addormentiamoci così stretti, diceva.

Mi appoggio al ponte, la Senna scorre verde scura, il dolore arriva, nuovamente, ancora. Tocco la borsa, ma il suo effetto è già svanito, una boccata di luce che è durata un’ora. Ma com’è possibile, anelata per mesi. Sorpresa! Quello che veramente vogliamo non è mai una cosa materiale.

Nel sacchetto ho le pietre, prendo il quarzo rosa, lo appoggio alla bocca. E’ fresco. Lo prego di prendere questo mio dolore, di aiutarmi, non lo voglio più.

Ho provato qualsiasi cosa che potesse aiutarmi, gocce, meditazione, consigli, pietre curative.

Niente, rimango in cantina, ne ho aperto la porta, vedo la luce in alto, ma sono ancora seduta nel buio.

Fa male, non è vero? Ma se ti chiedono dove? Non saprei dire con esattezza, è una sensazione strana, fa male da tutte le parti, un malessere diffuso. Il cuore, pesante, la gola stretta, è in tutto il corpo, difficile da isolare.

Vorrei avere una spugna dorata da passarmi sulla pelle per lavare via la pesantezza. E’ una stanchezza fisica, non ho voglia di fare niente, solo di sdraiarmi sul letto con la mente che vaga nei ricordi.

Sono i primi di settembre, sono senza fiato. Butto lo zaino in terra, mentre lui arriva correndo e mi spinge nell’erba. Bocca su bocca, infilo le mani nei suoi capelli morbidi. Il sole è alto, caldo e luminoso.

Una grande quercia maestosa, solitaria a pochi metri da noi. Stendiamo una coperta, si sentono i campanacci delle mucche che pascolano nei prati più alti. Lo guardo.

Si apre la mia bocca:”Non so cosa sia, è così grande , enorme, credo che solo il tempo dirà cos’è”.

“Cosa vuoi che sia?!”, mi risponde emozionato, “… è Amorissimo”. Rido, sì, è Amorissimo, la passione ci avvolge nella coperta, sperando che il signore con le mucche non scenda proprio ora, sarebbe imbarazzante.

Ci sposiamo, come i bambini, sotto un tetto di betulle con due anelli di fiori.

Ho sbagliato? Non era Amore? Era un’illusione.

PARIGI CINQUE ANNI DOPO

Correvo, gli occhiali che mi scivolavano sul naso, ero arrivata a Parigi con un ritardo di un’ora.

“Taxi! Rue Saint Honoré”, per favore.

Ero arrivata, ma avevo perso l’indirizzo, segnato di fretta su un foglietto messo nel portafogli, che poi ovviamente era scivolato fuori non so quando. Avevo ricordato la via ma non il numero. Con il cellulare in bocca – il corpo piegato lateralmente per il peso del borsone e della cartella con tutti i miei disegni – pagavo il tassista.

Anna mi aveva proposto un lavoro diverso: c’era un signore, amico di sua sorella Francesca, che stava aprendo un grande resort in Namibia. Era un amante della natura e voleva che qualcuno progettasse un logo, ma non con le tecnologie, diceva lui, di Lucifero. Voleva un simbolo che rappresentasse la natura selvaggia, fatto con le mani, pensato, creato e disegnato con matite naturali, colori di vento, aggiungo io.

Mi aveva mandato una mail, spiegandomi il suo progetto. Io avevo creato la fusione dei quattro elementi, ELEMENTS era diventato il nome del resort. Adesso mi stava aspettando a casa sua.

Finalmente Anna rispondeva.

“Numero civico di Pierre, Anna, svelta, svelta..”

“Non cambi mai”, ridendo.

Eccomi davanti alla sua porta, grande, di legno scuro, un profumo antico di cera, riempiva la soglia di casa.

Aveva aperto la porta un omone enorme, con i capelli neri, lunghi fino alla vita, raccolti con cura in una treccia lucente, che mi sembrava forte e solida, come se avessi potuto usarla come una corda per salvarmi.

Raperonzolo al femminile! Che stupida, smettila, mi rimproveravo. Amo i cartoni animati, è facile per me trovare nel mondo reale i personaggi delle schermo.

A prima vista sembrava un nativo americano, ma in realtà era francese.

Il logo ed il nome del resort gli erano piaciuti, aveva preso tra le mani i miei disegni, li aveva toccati, passando delicatamente i palmi sulle linee morbide e sui colori di vento, li aveva annusati, messi contro luce, poi aveva chiuso gli occhi per qualche istante.

Mi aveva guardata, sorriso.

“E’ esattamente quello che volevo, ma non sapevo tradurlo in materia, c’è passione in questo logo, contatto con la natura. Merci, hai fatto scorrere bene la linea della creazione dal cuore alla mano.”

Con un bicchiere di vino bianco in mano, seduta comodamente sul suo divano, avevo accettato il suo invito a cena, attendeva due persone, Francesca, la sorella di Anna, che voleva salutarmi e un suo collega.

Alle 20,30 entrava nuovamente nella mia vita… lui, Lorenzo.

Erano cinque anni che non avevo notizie né contatti.

La mia bocca era rimasta chiusa, ermeticamente chiusa. Il mio cuore aveva mancato qualche battito, come in apnea cardiocircolatoria, e poi come un cavallo selvaggio finalmente lasciato libero nella prateria aveva iniziato a battere forte, in tachicardia, mi sembrava fosse fuori dal corpo, avrei forse potuto prenderlo in mano. La mia cassa toracica era troppo stretta per il cavallo selvaggio.

Lui era lì, davanti a me, i suoi meravigliosi capelli arricchiti d’argento, piccole stradine attorno agli occhi, ma era lui esattamente come lo ricordavo.

Cinque anni ed era come se fosse finito tutto il giorno prima, cinque anni cancellati nell’aprirsi di una porta parigina.

Quello che provavo per lui era intatto e lì, nei pochi centimetri tra di noi, tutto quello che avevo costruito, la mia famiglia, tutto era stato disintegrato dall’aprirsi di quella porta. Tutto quello che avevo cercato di tenere in piedi in questi anni, l’amore coltivato con mio marito, il rispetto, si era sbriciolato come un castello di sabbia costruito con tanta cura, ma che si distrugge nella prima onda che si spinge più lontana sulla battigia.

Perché non ha fondamenta.

In quel momento mi sono resa conto che il mio amore era lì, davanti a me.

Il mio matrimonio era stato costruito con cura, con attenzione, secondo i dogmi e le regole della società, con pazienza, ma “costruito” e non era quell’amore che io avevo conosciuto.

Francesca, gli occhi sbarrati, no, lei non poteva sapere chi era lui per me.

Pierre, divertito, aveva accelerato la cena.

Era stata una serata incredibile, in un tempo che si dilatava, gli occhi non si erano lasciati per un attimo, il mio corpo vibrava.

Mi aveva chiesto dove alloggiavo e mi aveva accompagnata in taxi all’hotel, mentre Parigi brillava nella tiepida e dolce sera primaverile.

Cinque minuti era stato il tempo concesso alla buona educazione nella hall, per poi prendere l’ascensore e finire in camera mia, abbracciati nel letto.

Ero tornata a casa. Sperimentavo ancora una volta la sensazione di fusione.

Avevo pianto, un lungo pianto liberatorio, come se il ghiaccio attorno al mio cuore avesse iniziato a sciogliersi.

Si era sposato un anno dopo la fine del nostro rapporto, aveva avuto una bambina che adesso aveva tre anni, un anno in più di mio figlio.

Si era sposato, esattamente come me, e come  me aveva costruito un amore sicuro, dove poteva gestire e controllare i suoi sentimenti.

Il nostro amore, aveva spaventato entrambi, troppo grande, troppo sconosciuto, senza CONTROLLO, troppa passione, troppo da cambiare. Tutto troppo, nessuno dei due era pronto.

Per primo, lui aveva scelto un amore più in superficie dove non era necessario scendere nella profondità del cuore, dove non aveva dovuto faticare né porsi quesiti sulla qualità dei sentimenti, su quanto amava, in quale parte del corpo lo sentiva, dove la domanda “sono felice?” non era mai stata pensata.

Ma il vuoto lasciato da “quel noi” non lo aveva colmato nemmeno lui. Si era reso conto nel tempo di quello che avevamo vissuto. Quando ami una volta per davvero, lo sai.

Un sentimento speciale, così grande, non si può costruire, arriva. Era un amore grande e puro.

E’ così eravamo da capo, stessa profondità, ma con una vita più complessa, un marito, una moglie, due figli.

Ma la vita, il destino, aveva organizzato per noi un’altra occasione. Un altro bivio sulla strada.

Adesso non potevamo più fare finta di non sapere, agire come prima, come due ragazzini impauriti e senza coraggio. Era ora di imboccare il bivio giusto.

Quattro mesi dopo eravamo insieme.

Questa volta avevamo annientato i dogmi, distrutto il perbenismo voluto dalla società, questa volta avevamo aperto il cuore e affrontato le NOSTRE PAURE, liberato il CORAGGIO.

Era impossibile non volere “noi”, e così avevamo messo insieme le nostre due famiglie.

CALA DI BENIRRAS, SPAGNA, OGGI

L’aria calda, profumata di oli solari e lozioni luminose per capelli, muove le fronde dell’ombrellone. Il mare è verde intenso, così trasparente che, anche seduta sulla sdraio, posso vedere le pietre sul fondo e i piccoli pesci argento che si muovono veloci.

Nel centro di questa piccola caletta, c’è quella roccia famosa e tanto cara agli hippies, per la sua forma è chiamata “il dito di Dio”.

Penso che con noi Dio è stato generoso e accomodante, ci ha concesso un’altra occasione.

Guardo Agata, ha un anno e mezzo, ha il succhiotto in bocca e si trascina dietro quello che lei chiama Pocio, è un pupazzetto con la testa di mucca e il corpo fatto di quattro petali di ciniglia colorati, che si passa sul naso e sulle orecchie,  è la sua consolazione per la notte quando deve dormire nel lettino “sciola”, come dice lei, ed è una coccola per il giorno quando è stanca.

Si sta arrampicando sul suo papà, mentre i suoi fratelli giocano nell’acqua.

Lorenzo la accoglie tra le braccia, le bacia il nasino, poi la stringe forte.

Che buffo, anni fa, quando sarebbe stato più facile, quando eravamo più liberi, senza figli, non avevamo avuto il CORAGGIO, questa volta invece abbiamo unito due famiglie, nel miglior modo possibile.

E’ perfetto adesso? No, non lo è.

E’ facile? Non sempre.

Ma c’è una base solida, è come avere un’ancora enorme posata sul fondo, i venti possono far barcollare la nave, sbatterla a destra e sinistra, ma non la distruggono. E’ come una casa di legno, costruita sul cemento armato, i venti e gli uragani possono portare via le travi in legno e le finestre, i mobili, ma le fondamenta rimangono solide.

Noi due siamo quell’ancora, quelle fondamenta.

Agata è nata nove mesi dopo aver preso casa insieme, in un pomeriggio d’estate.

E’ nata in casa, nel salotto, sul tappeto coperto di teli bianchi, le finestre spalancate sul giardino, le tende in dolce movimento per il vento saturo di gelsomino, le note di Sting, Field Of Gold, riempivano l’aria di dolcezza.

Io accovacciata in terra, l’ostetrica scandiva con lentezza i tempi delle mie spinte, lui davanti a me, inginocchiato, con le lacrime agli occhi, diceva:“Forza Amore spingi, ancora una spinta amore, ancora una e la nostra stella arriva.”

Agata, come la prima pietra che mi aveva regalato, molti anni prima, fatta a cuore.

Agata che suona tanto come Agharta, come la meravigliosa terra di luce e armonia, che si dice sia sotto i nostri piedi nel ventre di madre terra.

Agata era cresciuta dentro di me, davvero come una stella, era stato il regalo dell’universo, per noi due, per aver avuto il coraggio di unirci, per aver avuto il coraggio di vivere quell’amore profondo.

Un bel finale non è vero? Tanta fatica, tanto dolore, tanto coraggio occorso, ma poi il lieto fine. Vi piace?

Avrebbe potuto andare così.

MA A PARIGI IO NON SONO MAI ARRIVATA!

La mia amica Anna, non ha potuto propormi quel lavoro, lo ha proposto ad un’altra illustratrice. Lo voleva dare a me, ma non ha potuto, io ero malata, in quel momento ero in ospedale, a guardare dalla finestra la fine dell’estate, le rondini che volavano nel parco dell’ospedale, pronte per migrare nelle terre delle spezie.

Era la mia ultima settimana, sarei partita sette giorni dopo, in casa mia, nel mio letto,

con le mie più care amiche che mi leggevano il Bardo, il libro dei morti.

I miei genitori straziati dal dolore, mio figlio nella camera accanto che costruiva un aereo con i lego, mio marito annientato.

Mia nonna, anni prima, mi diceva di non disperarmi per quell’amore, di guardare quello che avevo, il mio fidanzato, di apprezzare ciò che c’era. Farfalle in testa, quello avevo! E di non farla troppo lunga, che di amore non si muore, non è mai morto nessuno, che lei sapesse, per amore.

Quindi, quando è successo a me, ho pensato di essere la prima, ma poi ho VISTO ed ho compreso. No, non ero lo prima, non sarei stata l’ultima.

Quando sono arrivata qui, mi hanno accolta con amore infinito, niente dolore, niente attaccamento per ciò che avevo lasciato. Solo luce e perfezione.

Mi hanno fatto vedere la mia vita, quella di Parigi e tutto il dopo, tutta quanta la mia vita, i miei figli, la loro crescita, il mio lavoro pieno di passione e creatività, Lorenzo, il suo lavoro, le sue scoperte, i suoi successi, tutte le gioie insieme alle preoccupazioni che avremmo vissuto insieme.

Era una bella vita, vera, sincera, profonda. IMPASTATA CON L’AMORE.

Ma non c’è stato niente di tutto questo, non è mai accaduto, è volato via.

Già, io non ho scelto l’amore, ho scelto il lavoro. Non ho scelto l’aiuto di tutti quegli angeli che mi erano passati accanto, dalla donna anziana incartapecorita, allo sciamano, alle amiche, non avevo compreso il messaggio di Anna, ho scelto il lavoro MA SONO APERTA!. Ognuno di loro mi aveva messo davanti ad un bivio ed io avevo sempre scelto quello sbagliato.

Io non ho scelto di rompere gli schemi. Io non ho scelto di iniziare ad amare me.

Mi sono fatta una iniezione enorme dentro al cuore, un ago lungo e grande che ha passato pelle, muscoli, tessuti fino a iniettare nel pericardio un veleno indurente.

L’amore non era più stato così fondamentale.

Quando guardavo Lorenzo, mi si riempivano gli occhi di lacrime, tanto lo amavo, l’altamarea negli occhi, come diceva lui.

Ma nonostante ci amassimo molto, entrambi avevamo scelto bivi sbagliati, altro.

Le mie illustrazioni così brillanti e vive avevano perso colore, forma, senza passione erano solo colori opachi senza emozioni. Scoloriti come il mio cuore.

Io non ho scelto la passione, io non ho compreso e non mi sono accorta del mio corpo che chiedeva aiuto.

Chi sono oggi? Sono quello che alcuni di voi chiamerebbero angelo e alcuni più precisi che ci hanno catalogati… un Angelo di Cristallo.

Sono l’angelo dell’apertura del cuore, questo è il mio compito.

Piccoli, meravigliosi umani, voi che camminate ancora nel mondo, avete tutto il tempo per aprire il cuore, decine di bivi da scegliere.

Avete sempre l’opportunità di cambiare qualcosa, di provare a cambiare.

Uscite di casa, cercate aiuto, riprovate ad amare. Partite da voi stessi, AMATEVI!

Nonna, è vero, d’amore non si muore! Ma si può morire per la MANCANZA d’amore, ci si ammala per la mancanza d’amore. Si vive con l’emicrania per la mancanza d’amore verso se stessi e verso gli altri.

Si vive una vita discreta, a volte triste e poco piena.

Sì, voi che fate finta, anche se non volete che sia così e vi raccontate che ci sono cose altrettanto importanti.

Quale carriera può essere bella, senza poter tornare a casa la sera e aprire la bocca nella bocca di un amore, fare un mantello di parole su quello che avete vissuto nella giornata, quale denaro può essere così affascinante se non può essere condiviso con chi ti sa guardare negli occhi facendo arrivare l’altamarea.

Voi che camminate sulla terra, prendete coscienza di ciò, ognuno di voi ha accanto un Angelo di Cristallo, tendete l’orecchio perché noi parliamo, vi siamo vicino, ma se non volete ascoltare non vi accorgerete di nulla.

L’unica cosa per cui la vita vale la pena di essere vissuta è l’amore, in qualsiasi forma. Verso voi stessi, verso gli altri, verso Pachamama, madre terra.

Riprovate ancora, Voi che avete deciso che “basta così”, iniziate voi che non avete ancora conosciuto l’amore.

Fate le valigie e cambiate casa, voi che vi costringete a vivere in una casa dove l’amore non esiste più, raccontandovi che lo fate per i figli.

Per la mancanza d’amore ci si ammala, ci si spegne.

Noi possiamo vedere i vostri bivi, SONO BIVI SULLA LINEA DEL TEMPO. Ne avete così tanti, anche quando ne avete infilati molti di sbagliati, sono solo cadute, ne arrivano altri per permettervi di alzarvi.

Voi siete come delle piccole barche, meravigliose e dorate, attraccate a un molo di un porto piccolo, che vi sembra sicuro, con grosse corde per tenervi fermi.

Ma il mare grande vi chiama e cerca di staccarvi dal vostro misero porto, il vento ulula e vi prende con una mano invisibile, cerca di portarvi al largo.

Dovete tagliare in modo netto quei cordoni di falsa sicurezza che vi tengono ancorati, prendete il largo e andate nel mare sconosciuto, dentro quella piccola barca che siete voi, c’è tutto, tutto quello che vi serve.

E quando sarete al largo, subito avrete paura, vi sentirete soli.

Ma poi vi accorgerete che nell’oceano c’è tutto e ci sono altre piccole barche che come voi stanno cercando solo un po’ d’amore.

Vi sussurriamo ogni giorno, stolti umani! Ma pochi di voi hanno orecchie per ascoltare.

Piccoli, miseri, meravigliosi umani. L’amore è energia, è sempre disponibile, prendetela!

Camminerete ancora su campi d’orzo, con mani intrecciate e sorrisi aperti.

Ho sussurrato la mia storia alle orecchie di una donna che era pronta ad ascoltare, perché i miei sussurri diventassero carta riempita di parole, attraverso le sue mani.

Se uno solo di voi, dopo aver letto la mia storia, deciderà di aprirsi alla vita, di aprire il cuore, di far esplodere la passione per ogni cosa, anche solo uno di voi…in quel momento il mio compito sarà finito.

Potrò ritornare sulla Terra, nascerò nel ventre della donna che leggendo avrà cambiato qualcosa o nascerò dalla compagna di quell’uomo che avrà compreso dal mio scritto.

E il mio nome sarà AGATA.

Allora sarò una stella che cresce nel ventre, un dono nell’universo.

La Bottega dell’Amore – Cuneo

UNA, SEGRETA, IN OGNI CITTÀ. CUNEO

Lui guardò la donna che aveva di fronte: “ho una cosa immensa dentro che riguarda te”. Lei la sentì quella cosa ed era lo stesso identico amore che la abitava.

“Ma questi semi d’amore purtroppo non li coltiva più nessuno” raccontava la donna seduta nella bottega, in fondo, vicino al bancone, sulla destra. Era accovacciata su una poltrona enorme, coperta di un tessuto fiorito, allegro. Aveva accanto un tavolino basso con una teiera giapponese antica di ghisa rosso scuro, emanava un profumo di thè verde e ciliegie. Aveva i capelli lunghi e neri, ma il viso rugoso offriva l’idea di una età avanzata.

Io cercavo di ascoltare, mentre pagavo il filo per rammendare il tessuto del mio cuore, si era creato un piccolo strappo sul pericardio in basso e questa bottega era l’unica che aveva il filo di ragno zaffiro, originario di Ittoqqortoormiit: la città più isolata della Groenlandia. Gli strappi di cuore, si sa, meglio ripararli subito! perchè quando si è un po’ aperto, il pericardio, può entrare di tutto, meglio rammendare il dolore che lo ha tagliato, prima che arrivi al centro…

La donna dai capelli scuri, stava dicendo che i semi d’amore di quella coppia, sono sempre più rari.
Non li usano quasi più.
Ma chi, mi chiedevo io ? e quali semi?

Raccontava che nessuno crede più all’amore è evidente, ormai da molto tempo, troppo tempo. Che il contatto profondo si è perduto e il terreno dove piantare i semi d’amore inaridito e secco.
Alla fine sussurrò: “oramai lo sai, una delle tre se n’è andata da anni è partita e senza di lei i legami d’amore non sono più stabili”.
Si fermò, sorseggio il thè di ciliegie e sorrise con profonda tenerezza alla donna che era seduta in terra su un cuscino porpora.

Tacque
Io uscii dalla bottega.

Ma chi era quella che legava l’amore e quale tipo di semi sono i semi d’amore?

Isabella – Frequentatrice curiosa della Bottega

Il Kilimangiaro e la paura, un viaggio dentro e fuori

KILIMANJARO AKUNA MATATA, ASANTE SANA

Iniziamo con la pioggia: sono pronta.

Io dentro un involucro che mi ripara. Sento le gocce, il loro rumore mentre atterrano sulla mia pelle di plastica. Non mi toccano, fino a quando non guardo in su, il cielo basso e carico, il verde lucido che mi accompagna sui lati: foresta.

La terra rossiccia e morbida sotto i piedi: fango. Gli scarponi camminano sul morbido in questo primo tratto.

Sono fiduciosa, può solo migliorare. Tutto bene.

I portatori sono già partiti, prepareranno il campo della prima sera, le due guide con noi. Due bocche piene di denti forti e candidi. Scoprirò che Martin, una delle guide, li mostra spesso, mentre si piega in avanti incrociando un po’ le mani, la risata lo curva. E’ una risata gioiosa e grassa, pronta.

Lo so che non sono allenata a sufficienza, non lo sono mai. Dal 2010 l’anno in cui ho scoperto l’amore per il trekking in alta quota, prometto che per l’anno seguente sarò più allenata.

Poi apro il solito libro delle scuse, in ordine alfabetico cerco la P: pioggia. Quest’anno ha spesso piovuto nel basso Piemonte, è vero: Assolta.

Ho paura? Si. Fiducia? Di più. Follia? Si, sparsa come il sale tra una sinapsi e l’altra: insaporisce i pensieri, li rende leggeri, spazza le incrostazioni di paura che si stanno formando.

Il mio corpo funziona come un diesel, si scalda piano piano. La prima ora di cammino è sempre una grande fatica. Poi tutto si mette in moto, il sangue scorre meglio, i polmoni si aprono ad un’aria diversa che perde migliaia di molecole di ossigeno mentre salgo.

Bevo acqua, molta. Il corpo si mangia l’ossigeno che contiene.

La sera, in tenda, prima di dormire leggo il programma: ogni sera. Sorvolo il numero di kilometri previsti per il giorno dopo. Leggo di sfuggita parole come: tratto più difficile, sfida del Barranco, oggi la salita sarà impegnativa. Leggo di fretta, affinché le parole scritte non si aggancino alla paura che inizia a prendere forma perché la scalata finale si avvicina.

Il paesaggio è cambiato, la foresta ha lasciato il posto alla brughiera e la brughiera al deserto alpino: rocce, rinsecchiti piccoli ciuffi d’erba. Le gigantesche lobelie sono sparite, così i muschi e i piccoli alberi.

L’aria è fresca ma non fredda, il sole forte, ruggisce come il leone che abita la savana più in basso.

Il Kilimanjaro è sopra di me, sembra un pacifico panettone, dolce e gentile.

E’ invece un vulcano di 5.895 mt, che significa “piccola collina lontana”, così lo avevano chiamato gli abitanti della savana, che lo vedevano piccolo da lontano.

Ci siamo, questa è la notte della scalata.

Sveglia alle 2,30. Sono le 21.

Devo dormire oppure non riuscirò salire, inizio con questo pensiero che non se ne va, anzi, accoglie adesso con piacere la paura. Diventa il mio mantra negativo.

La paura invade il mio corpo e lo agita e quindi inizia la danza nel sacco a pelo: pancia in su, pancia sotto, fianco destro, sinistro e ricomincia.

Mezzanotte: i gruppi iniziano a salire, mi sembra passino attaccati alla mia tenda, anche se so che non è possibile perché il sentiero è più in alto.

Ma la notte amplifica i rumori.

L’Una: la paura adesso è più grande, è come una vibrazione che attraversa il corpo.

Si parte, sono le Tre. Imbacuccata per bene contro il freddo, che pare sia -12, prendo lo zaino con le due borracce di acqua bollente girate al contrario, l’acqua gelerà, ma non tutta in questo modo.

Partiamo.

La luna è quasi piena, le stelle a pochi metri dal mio naso. L’aria è gelida, pulita.

Ho una torcia frontale fucsia e i bastoncini nelle mani. Lo zaino pieno di shottini energetici e barrette proteiche.

Ho il cuore pieno di desiderio di arrivare in cima. No, la paura non se n’è andata, la porto con me.

Per ora non mi ferma.

Cammino guardando in basso, vedo solo il tratto di roccia che calpesto, ma quando alzo un po’ lo sguardo, c’è un mare fatto di nuvole biancastre, un mare calmo illuminato dalla luna sotto di me.

E’ toccante, apre il cuore, lo pacifica. Quando sono intenta a guardare quel mare, la paura non mi abita. Si ritira silenziosa in un angolo.

Cammino e inizio a sentire il freddo, nonostante il movimento e l’abbigliamento.

Cammino e la luna inizia la sua discesa, dentro il mare di nuvole.

Cammino e il buio diventa totale.

L’ora più buia è quella che precede l’alba.

Mentre la luna se ne va, l’altitudine inizia il lavoro sul mio corpo.

No, no, no! Non adesso. Mancano ancora diverse ore alla cima.

Sono anche un po’ arrabbiata, ho già avuto alcuni sintomi due giorni prima a 4.000 metri circa, ho già pagato il prezzo dell’altezza. Illusa!

Ed è da qui, dal corpo in tilt (stomaco, intestino, testa) che inizio il mio lavoro più grande: tirare fuori le gambe emotive, coltivare il desiderio. Dominare la paura.

Sta sorgendo il sole, è più caldo ed io ho più freddo. Molto più di prima. Rimango sola con Martin, la guida che si piega quando ride, lui mi da il suo piumino. E’ arancione e spesso, leggero.

Cammino ma si chiudono gli occhi. Ho sonno e sono sfinita.

Mi siedo con le spalle appoggiate ad una roccia.

Mi addormento immediatamente. Mi sveglio, sono passati 5 minuti. Lui è sempre lì in piedi: “Andiamo?”

No.

Non posso, sto male. E sto male davvero. Sento il corpo in tilt, ricordo il cartello di avviso, di scendere se ci sono dei sintomi. Voglio scendere. Va bene così. Lo penso, lo sento.

Paura, paura, paura……….

Di che cosa ho paura, non può essere in generale. La esploro in dettaglio.

Di non poter più scendere. Sono sfinita, mancano più di due ore a Stella Point. Poi dovrò scendere altre 4 ore circa,  un’ora di sonno al campo e nuovamente altre 4 ore per raggiungere il campo per la notte.

Una giornata infinita. Se arrivo su, chi mi porta giù? Non ci sono Yak come in Laddak né cavalli come in Perù, per riportarti giù se non stai bene.

Ma chi li ha mai usati? Non ci sono mai salita durante i trekking.

Mi chiedo perché con tutti gli animali che ci sono in Tanzania, non uno è stato creato per salire in alta quota. Una zebra? Uno gnu? Gli gnu avrebbero potuto salire no? Pensieri stupidi, rotondi.

La paura è potente, genera scenari di pericolo, aumenta i sintomi, blocca.

Quando hai paura, non hai voglia di utilizzare gli strumenti che hai per gestirla, è più facile scivolarci dentro e invischiarsi fino a rinunciare. E’ più comodo.

Così come per il dolore, alcune volte è più facile invischiarsi di dolore e sofferenza che avere il coraggio di alzarsi per toccare altre emozioni. Abitudini.

Quante volte nella mia vita ho rinunciato per paura? Quante volte ho soffocato un progetto per paura del giudizio, perché portava pensieri nuovi, approcci nuovi? Oppure perché abito a Cuneo, e non a Londra o Madrid o Santa Barbara come alcune mie colleghe. Bella scusa questa, per non osare creare qualcosa che non c’è. Come se le Donne di Cuneo e dintorni non avessero gli stessi problemi delle donne che abitano in altre grandi città. Scuse costruite con la paura.

La paura blocca e ti offre la rinuncia. Però sei salva: finta salvezza.

Questa non è la paura che salva, ma quella che limita qualcosa di possibile. Qualcosa di possibile.

Allungo la mano, quella dei ricordi, per afferrare qualche strumento che ho.

Ricordo la donna Peruviana che abitava a 4.600 mt.  in una baracca dignitosa.

Lei vestita di tutto punto con il vestito tradizionale, ai piedi del l’Apu Quotallaully. Mi aveva offerto di respirare con i piedi, di succhiare l’energia della Terra di Pachamama, immaginare di assorbirla attraverso i piedi, energia e ossigeno. Dovevo rimanere concentrata.

Ricordo altri maestri: “Hai paura? E allora? Vai insieme alla paura, cammina con lei a braccetto, ma non lasciare che ti blocchi”.

Ma soprattutto più di ogni altro strumento, lascio spazio alla Donna Saggia che abita in ogni Donna,  La Que Sabe. Quella che sa. La parte più profonda in noi, che conosce i meccanismi della mente e sa placarli. Lei che mi ha salvata molte volte, da brutte esperienze. Perché se libera, se ha il suo spazio, Lei ti aiuta e ti Salva. Lei non ti inganna, come invece fa la mente.  Lei calma tutte le altre parti di noi, o possiamo definirle “le altre donne che abitano in noi” che hanno paura, rabbia, che sono meno stabili ….e prende il comando. Lei sa. Lei conosce la strada. Questa parte in noi è forte e affidabile.

Va bene riparto!

So da esperienze precedenti, che il corpo ha sempre dell’energia nascosta. Se sai toccarla, la puoi liberare!

Riparto e tolgo il giubbotto arancione di Martin.

Il mantra è questo: il mio corpo è forte e solido, le mie gambe leggere.

Lo ripeto centinaia di volte. Entro in un loop, dove il pensiero è una preghiera ripetitiva.

Poi mi sposto con il pensiero, mi sposto nel cielo con i corvi che volteggiano. Però! A questa altezza!

Quando non senti più il corpo, è più facile fare lo sforzo. Se ti sposti con il pensiero all’esterno del tuo corpo, in progetti che vuoi realizzare e li pensi con precisione, senti meno la fatica.

Il corpo continua a camminare costante, ma tu senti meno i disagi.

Aumento il desiderio, non tanto di raggiungere una punta, un numero. Ma il desiderio di rompere fisicamente uno schema legato alla paura. Coltivo il desiderio.

Se si rompe un limite fisico, spesso si rompe anche il limite emotivo e di pensiero.

Sono su questo vulcano per questo: non permettere più alla paura di mangiarsi i miei progetti.

I progetti più difficili da portare a termine.

Lo spacco questo limite.

Respiro dalla terra, salgo a braccetto con la paura di non avere la forza di scendere, ripeto il mio mantra, penso ai miei progetti minuziosamente, come se fossero già realizzati. Sento la forza che accarezza il mio corpo, prima come un vento leggero e poi come una migrazione di migliaia di animali per le terre sconfinate della savana. Potente! Concreta!

Guardo a terra, adesso c’è la neve. Alzo lo sguardo attorno a me: si è cristallizzata in onde taglienti, verticali. Una meraviglia!

Alzo lo sguardo, la punta è a poca distanza. Incrocio una giovane ragazza americana, mi dice che anche lei ha pianto. Pensava di non farcela. Anche io sto piangendo, sgorga forte il pianto, a pochi metri da Stella Point. I piedi sempre più lenti.

Sgorga potente il pianto. Le labbra tagliate e il sapore del sangue sulla lingua.

Sgorga liberatorio il pianto, sono arrivata: nonostante la paura.

Arrivo e ricevo un abbraccio, pieno, di condivisione. Una meta raggiunta insieme.

Un abbraccio solido. Un pianto condiviso. Un impasto di cuori.

Mi sdraio, sotto un sole così forte che mi ustionerà un po’ le mani, adesso prive di guanti.

Stella Point, dal cartello che segna l’altezza: 5.750. Vedo l’altra punta, a 45 minuti,  150 metri di altezza in più.

Vieni?

No, Mi Amor.

Adesso non è più paura.

E’ rispetto del mio corpo, consapevolezza che ha fatto molto.

Non mi interessano quei metri in più. Non sarei differente con 150 metri in più.

Il lavoro sulla paura l’ho fatto.

Mi addormento seduta. Il cuore pieno. Gonfio.

E’ di una bellezza infinita il paesaggio.

La montagna mi fa questo effetto, mi spalanca il cuore. Mi commuove.

Nelle ore seguenti, riuscirò a scendere al campo, dormirò come un sasso per un’ora e mezza e poi raggiungerò il campo base successivo, dopo altre 4 ore sotto la pioggia.

Foresta lucida!

Fango morbido.

Giornata infinita.

Giornata piena di vita.

KILIMANGIARO AKUNA MATATA (Nessun problema – Tutto bene)

KILIMANGIARO ASANTE SANA (Grazie mille).

Isabella