Vulvodinia Prof. Micheletti
In vista della Giornata Internazionale per la Vulvodinia: l’11 novembre, abbiamo intervistato il Prof. Leonardo Micheletti, ginecologo che da più di trentacinque anni si interessa dei disturbi vulvari. È il primo ad aver pubblicato nell’ambito della letteratura internazionale anglosassone un lavoro che può essere considerato il manifesto della nascita della vulvologia.
Professore, può spiegare in modo semplice un disturbo complesso come la vulvodinia?
È un dolore vulvare prevalentemente localizzato a livello del vestibolo (quella regione della vulva che sta davanti alla vagina) senza che ci sia una lesione organica, senza una lesione visibile.
Il dolore vulvare può essere causato da un’ulcera, da una dermatosi, da una dermatite, da un’infezione, da un tumore ma in questi casi non parliamo di vulvodinia.
Nella vulvodinia non ci deve essere una lesione visibile che spiega quel dolore.
Sia la donna che il ginecologo, a prima vista o all’ispezione in visita, non vedono nulla: la vulva è integra.
Il termine vulvodinia indica una sindrome dolorosa. La sindrome è un insieme di fattori che danno come risultato un certo tipo di situazione.
Quali sono le terapie attualmente in uso per la cura della vulvodinia?
Due sono le terapie accreditate, l’approccio psicologico psicoterapeutico e l’approccio neurofarmacologico; quest’ultimo utilizza antidepressivi, antiepilettici e anticonvulsivanti, ma solo quelli che hanno dimostrato di funzionare sul dolore disfunzionale, che è quello che caratterizza la vulvodinia. È fondamentale saper distinguere il dolore disfunzionale da quello neuropatico, infiammatorio e nocicettivo. Sono quattro forme di dolore differenti e non rispondono alla stessa maniera agli stessi farmaci.
La vulvodinia è caratterizzata da un dolore disfunzionale, che non dipende dall’infiammazione o dal danno di un nervo ma dalla disfunzionalità delle vie e dei centri nervosi che controllano la sensibilità.
La donna con vulvodinia percepisce come dolore uno stimolo non doloroso.
È vero che l’80% delle vulvodinie sono vestibolodinie? Che cosa le differenzia?
Bisogna saper distinguere dal punto di vista anatomico il vestibolo dal resto dell’apparato genitale, infatti il vestibolo è una componente della vulva ma si chiama vestibolo vaginale, non vestibolo vulvare, come purtroppo si vede spesso scritto in letteratura. Il termine vestibolo indica lo spazio che sta davanti a qualcos’altro. Che cosa sta davanti alla vagina? Il vestibolo vaginale. Ma che cosa c’è davanti alla vagina? La vulva. Quindi il vestibolo vaginale è la parte mucosa della vulva. La maggior parte della vulva è ricoperta da cute, parzialmente pelosa, parzialmente glabra. È difficile che il dolore vulvare senza lesione visibile colpisca la componente cutanea. Ecco perché l’80% del dolore vulvare non legato ad una lesione visibile, dicesi vulvodinia, è localizzata sul vestibolo, e allora viene chiamata vestibolodinia. E non vestibulite, perché il suffisso «-ite» introduce un concetto infiammatorio o infettivo, che non esiste nella vulvodinia.
Un’infiammazione pregressa può essere uno tra i fattore scatenanti, ma non la causa della vestibolodinia o vulvodinia.
Ad esempio anche il tumore che ha colpito la vulva in una parente, può scatenare in una donna che non ha il tumore un dolore alla vulva, perché fissa l’attenzione sulla propria vulva e può, in alcuni casi, avere una percezione dolorosa anche se non c’è nulla che causa dolore. Quando il fattore scatenante è qualcosa di organico o fisico, una volta risoltosi dovrebbe passare il dolore, invece il dolore può mantenersi e durare nel tempo: in questo caso il sintomo dolore si è trasformato in malattia dolorosa.
La vestibolodinia è un disturbo molto complesso, controllabile e risolvibile nell’80-90% dei casi.
La differenza tra ginecologo e vulvologo?
In realtà non esiste, nel senso che la vulvologia è una competenza interdisciplinare, non una specialità. Lo psicoterapeuta stesso, che sia medico o no, deve avere una minima competenza vulvologica. L’urologo che vuole interessarsi dei disturbi urologici della donna deve avere una competenza vulvologica, così come il dermatologo e il ginecologo. Perché? Perché la vulva è un organo di confine tra apparato genitale e dermatologico e rappresenta il simbolo della sessualità. Quindi uno psicoterapeuta che non è medico non può esimersi dall’avere i fondamenti della vulvologia, che significa sapere che sulla vulva ci sono anche malattie della pelle. Si può correre il rischio di avere lo psicoterapeuta che cura una dermatosi e dall’altra parte avere il ginecologo che cura una vulvodinia, sindrome complessa con importanti implicazioni psicologoiche, con gli antimicotici. Significa, in questo caso, non possedere una competenza vulvologica di base. Ma il termine vulvologia non è stato riconosciuto a nessun livello, non esiste neanche la visita vulvologica, dopo trent’anni che si parla di vulvodinia, dopo che nel 2002 è uscito nella letteratura anglosassone un mio articolo insieme a un importante dermatologo americano che spiega cos’è la vulvologia. Esiste la senologia, ma chi è senologo? Il radiologo che si occupa di tumore alla mammella, il radioterapista che tratta la mammella, il medico oncologo che tratta la mammella. Sono tutti senologi, eppure sono tutti specialisti differenti. Dunque la senologia è una competenza interspecialistica, come la vulvologia, anche se quest’ultima non è ancora riconosciuta a livello nazionale. Questo anche perché imparare la vulvologia è molto difficile. Io, da ginecologo, per imparare a gestire appropriatamente la vulvologia ho dovuto ristudiare la dermatologia applicata alla vulva, ho dovuto studiare le basi neurofisiologiche riguardanti le vie di trasmissione e di percezione, quindi la neurofisiologia applicata alla vulva. Nulla di questo mi è stato insegnato in nessun corso di laurea o specializzazione, ed io insegno nei miei corsi questi principi ai miei colleghi che vogliono interessarsi di vulvologia, ma la vulvologia non ha un riconoscimento ufficiale a nessun livello.
Secondo lei, che cosa deve fare una donna che soffre di vulvodinia, per evitare di entrare in quello che è definito “pellegrinaggio medico”, ovvero il sottoporsi a diverse visite da parte di differenti specialisti, senza riuscire a risolvere il proprio problema?
Ci sono pochissimi specialisti di vulvologia. Sto facendo un corso in vulvolgia in quattro tappe in cinque città d’Italia: prima tappa – introduzione alla vulvologia; seconda tappa – i lichen della vulva e la psoriasi; terza tappa – i tumori intraepiteliali della vulva; quarta tappa – il dolore vulvare e la vulvodinia. Alla fine di queste tappe i corsisti dovrebbero aver acquisito le basi per iniziare ad essere dei vulvologi, cioè saper riconoscere e saper distinguere, e non trattare certe patologie dando ad esse il nome di altre patologie. Se una donna ha un dolore vulvare, esterno, perché deve fare un tampone vaginale e utilizzare un ovulo vaginale? Questo accade perchè manca una specifica competenza vulvologica.
Ci sono due aspetti importanti da sottolineare e su cui riflettere: primo, si riconosce solo ciò che già si conosce. Il medico che non riconosce finisce per cercare nelle sue conoscenze qualcosa di simile che attribuisce alla sua paziente, la sua paziente viene identificata, battezzata, con una patologia che non ha, e se la porta dietro per molti anni.
Secondo, un’informazione parziale e incompleta può essere peggio della completa ignoranza. L’informazione è qualcosa che è dipendente da chi la fornisce e può essere immagazzinata su un mezzo cartaceo, sul web…la conoscenza invece dipende dall’intelligenza di chi sta usando l’informazione. Non possiamo identificare informazione con conoscenza. Ma viviamo in un mondo dove non c’è più la capacità di conoscere il significato delle parole. Per cui si sente parlare di vulvodinia, si sente parlare di lichen e si attribuiscono queste diagnosi a soggetti che non hanno la vulvodinia o lichen.
Sul web molti si professano esperti di vulvodinia. Nessuno si pone il problema di fermarsi un attimo e capire se le informazioni che possiede sono corrette; diventa quindi fondamentale dare le informazioni più corrette possibile.
Ciò che sappiamo sulla vulvodinia è che c’è una predisposizione genetica (ci sono almeno sei geni coinvolti tra tutti i geni che controllano la sensibilità). A questo si associa una predisposizione psicologica, nel senso che si è visto che compare prevalentemente in soggetti che soffrono di ansia, depressione, disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione, dolori diffusi. Ricordiamo ancora che la vulvodinia è una sindrome da dolore disfunzionale e che esistono altre sindromi da dolore disfunzionale che colpiscono altri organi, e si presentano anche nei maschi.
Quali sono le sindromi da dolore disfunzionale, ovvero quelle sindromi dove c’è un apparato o un organo che è dolente ma organicamente sano?
La sindrome dell’intestino irritabile;
La sindrome da vescica dolente, che assomiglia ad una cistite perché ci sono dolore e bruciore ad orinare, e ci sono pazienti che arrivano a orinare 30 volte al giorno con urinocoltura e cistoscopia negative;
La fibromialgia, in cui compaiono dolori muscolari senza alterazioni negli esami ematochimici e radiologici;
La vulvodinia;
La sindrome temporo-mandibolare;
La sindrome della cefalea muscolotensiva.
Sono tutte sindromi in cui il sintomo è il dolore, ma non indica una malattia specifica, ma una predisposizione genetica e psicologica del soggetto a processare in maniera anomala gli stimoli del mondo esterno. Anche e soprattutto stimoli normali, non dannosi. Quindi l’organo che fa male non deve essere curato, perché sull’organo che segnala il dolore non si trova nulla di anomalo. Sono i centri che controllano il dolore che non funzionano bene. Ecco perché una delle armi principali è la psicoterapia, perché la percezione è differente dalla sensazione. La sensazione è quello che inviano i nostri organi di senso al nostro cervello: l’udito, il tatto, l’olfatto, il gusto. Poi il nostro cervello processa e dà un significato: e questo si chiama percezione.
Un esempio dove la percezione non corrisponde alla sensazione: il masochista, che si procura sensazioni di dolore per percepire piacere. E può avvenire il contrario, il paziente può percepire dolore in un organo, come se ci fosse una lesione, anche senza lesione. Non se lo inventa, ma lo percepisce. Se al medico che gestisce la paziente vulvodinica mancano le basi neurofisiologiche, psicologiche e algologiche necessarie, diventa difficile inquadrare e gestire correttamente questa paziente.
Leonardo Micheletti, Professore Associato in Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Torino. Responsabile del Servizio di Vulvologia, Colposcopia e Patologia del Basso Tratto Genitale presso la Ginecologia e Ostetricia Universitaria 1 dell’Ospedale S. Anna di Torino
Torino, Ottobre 2021
“Ringrazio il Prof. Micheletti, che è stato disponibile per questa intervista.
Ciò che è emerso è molto importante per le donne che soffrono di vulvodinia – vestibolodinia, IL DOLORE C’É, É REALE, É PRESENTE, ma non si vede nulla.
Non è “solo una questione di testa, di dolore nella tua testa” come troppo spesso è stato detto a migliaia di Donne, ma il dolore è concreto e reale anche senza manifestazioni fisiche; può essere psicosomatico, ma comunque reale e fisico.
Oggi ci sono molte informazioni che viaggiano sul web senza controllo, si legge di tutto e spesso queste informazioni sono contrastanti o non complete e per le donne è sempre più difficile capire a chi affidarsi per una gestione corretta del proprio disturbo.
La vulvodinia è complessa e interessa due ambiti: fisico e psicologico.
Divulgare che è solo fisica, o al contrario che è solo psichica, significa divulgare informazioni incomplete ed iniziare le donne al famoso pellegrinaggio medico.
Quello che emerge da questa intervista è che deve essere riconosciuta la tipologia di dolore, perché se il medico che visita non ha una preparazione algologica sulla complessità dell’universo dolore ecco che per la donna inquadrare il suo disturbo diventa un calvario o finisce per ricevere un semplice elenco prestampato di farmaci che risolvono poco o nulla.
Il dolore costante e continuo, senza risoluzione porta anche alla depressione, la quale a sua volta peggiora il dolore.
Quello che è necessario è un protocollo condiviso soprattutto da chi conosce meglio la vulvodinia e che possa portare chiarezza su questa patologia che colpisce 1 donna su 7.
Dott.ssa Isabella Bodino – Consulente Sessuologa Clinica
Fondatrice di Mirya
A Mirya mi occupo di vulvodinia da un punto di vista fisico con la riabilitazione pelvica, da un punto di vista emotivo con il counseling strategico e dal punto di vista simbolico che per me è fondamentale in alcune risoluzioni della patologia, sempre in collaborazione con un medico ginecologo.