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La montagna delle Donne, un viaggio nell’accettazione e nel femminile profondo

È il giorno del Trekking sulla Montagna delle Donne, un luogo da me tanto desiderato, il luogo descritto nel libro di Mamani, ed io sono lì con lui su quella montagna.

Il libro che diventa la mia realtà.

Forte dei giorni precedenti, dove sono quasi sempre stata una delle prime dietro il curandero, con lo stesso passo, mi sento pronta per arrivare in cima tra i primi! La cima è il mio premio, la cima è la consacrazione della mia forza fisica e di volontà, delle mie qualità energetiche e spirituali. Insomma: è tutto!

Ma già alla partenza, durante la cerimonia nella quale si offrono alla montagna tre foglie di coc@ (allo spirito della montagna: all’Apu), sotterrandole e chiedendo il permesso per arrivare sulla sua cima, io inizio ad avere la tachicardia. Mai avuta in vita mia.

E non siamo nemmeno partiti! Non ho ancora camminato!

Sarà l’altitudine, mi dico. Mescolata, senza averla ben dosata, alla stanchezza dei giorni precedenti.

Quando inizio a camminare sento subito la fatica, sono rallentata, ma cerco a tutti i costi di essere la prima della fila che procede con passo regolare, come avevo fatto nei giorni precedenti.

Ma mentre salgo faccio sempre più fatica, con il cuore che va a mille. Nella prima pausa lo dico a Mamani, il curandero, che mi tocca la gola con la mano usando pollice e indice e mi dice che sono le emozioni.

Le emozioni??????

Mi suggerisce la tecnica che vi ho raccontato qualche post fa: appoggiare la lingua sul palato appena sopra ai denti e tenere premuto in quel punto collegandomi con l’energia della Terra, inspirare l’energia di Pachamama (Madre Terra) e farla scorrere nel corpo.

Ci provo! Sento un miglioramento, ma è passeggero.

Dopo pochissimo tempo, il cuore ritorna a farsi sentire. La tachicardia aumenta, il passo rallenta, io non voglio rimanere indietro e mi sforzo di stare al passo. Non posso rimanere indietro, non io. Sono stata come una vigogna saltellante e autoctona durante i giorni precedenti.

Devo essere una delle prime, se non la prima, ad arrivare. Non ci sono altre opzioni.

Io come la protagonista del libro.

Io, io, io…c’è solo una parte di me presente quella in competizione, che vuole essere vista per la sua performance esterna, che non si ferma a sentire, a riflettere.

Io, io, io…un disco rotto. Devo arrivare, devo arrivare prima porca miseria!

Io che punto tutto sulla mia lingua che attiva l’energia e sulla forza fisica.

Ma non punto sulle mie emozioni e sulla mia energia che si affievolisce mentre nutre le emozioni che si ingrandiscono e mi travolgono.

Puntata sbagliata Isabella, e come dicono i croupier: rien ne va plus!

Dentro di me c’è ormai un uragano di emozioni, un impasto velenoso e pesante.

Velenoso. Pesante.

Ma non mi importa, non lo voglio sentire, voglio arrivare. Chi se ne frega delle emozioni, gambe e forza di volontà! Ne ho da vendere.

Ah la competizione: fino a quando è sprono, attivazione positiva, ispirazione e quando diventa peso e tossicità?

Quando è un trampolino per raggiungere i nostri obiettivi e quando diventa un limite al raggiungimento dei nostri obiettivi?

Non sempre è così facile da vedere.

A quel punto iniziano a passarmi davanti altre donne sul cammino. Questo mi manda in tilt.

Non lo posso contenere, la rabbia diventa grande e riempie tutto il mio corpo.

Mi arrabbio con me stessa– le emozioni aumentano ancora– e la tachicardia esplode incontenibile.

La tachicardia mi svuota, mi rallenta, mi indebolisce.

L’altitudine completa il lavoro.

Mi passano altre donne davanti, quelle che rimanevano dietro i giorni scorsi.

Quelle più lente!

Un’altra sosta, chiedo nuovamente aiuto al curandero e lui mi dice la stessa cosa: sono le tue emozioni!

Io sorda, cieca, agitata. Voglio qualcosa di più, qualcosa che faccia scomparire immediatamente quel malessere che mi limita.

Mi guarda e mi offre un sorso di Agua Florida, una colonia.

Deglutisco e penso che vomiterò a breve, ma trattengo quel sorso di colonia nello stomaco.

Ultimo aiuto.

Inutile.

Ripartono.

Certo! Una parte del gruppo, quello che doveva essere il mio gruppo, quello più veloce è arrivato da un po’ e riparte. Io sono appena arrivata.

Ma riparto.

Non tengo il passo.

I piedi rallentano sempre di più, maledizione. Ansimo (se siete stati ad altezze elevate per un trekking sapete di cosa parlo!)

Rallento e sono superata continuamente.

Ed è in quel momento, con l’ultima donna del gruppo Top, che mi supera, che lascio andare.

Permetto alle mie lacrime di scivolare sulla pelle, tracciare un rivoletto che pulisce la polvere che si è depositata sul viso.

Sono quelle lacrime che rompono la diga delle emozioni.

Le vedo. Non sono più cieca e sorda.

La tachicardia rallenta, non se ne andrà via per tutto il trekking, ma rallenta.

Un piede dietro l’altro e proseguo immergendomi dentro di me.

Perché voglio arrivare per prima?

Cosa vinco? Cosa c’è per me sulla cima?

Un viaggio di sofferenza e un godimento di qualche minuto?

Cosa mi sto perdendo? Cosa mi sta insegnando la tachicardia?

Cosa mi offre davvero la montagna delle Donne?

Cerco  la risposta a queste e altre domande.

Mi fermo per aiutare una donna in difficoltà. Aumento ancora la distanza dal primo gruppo.

Parlo con lei, offro del tè caldo.

Quella fermata di aiuto mi fa stare bene.

Cambia il mio passo, il mio cuore.

Respiro, utilizzo gli esercizi energetici che conosco.

Il respiro migliora, così la tachicardia.

Sento che c’è un cambiamento molto  profondo dentro di me,  un femminile più morbido e sapiente emergere. Era lì da sempre.

La competizione per essere la prima non ha nessun valore e non ho davvero bisogno di dimostrare al Curandero quanto sono forte.

Perché io sono forte ma anche fragile. E non voglio più nascondere la mia fragilità.

Grintosa e Dolce.

Decisa ma alcune volte bisognosa del dubbio.

Sono tante cose che la montagna mi sta mostrando.

È quel cammino, così difficile per me, il mio vero maestro.

È così potente!

Su quella montagna io cambio.

Io lascio andare…tutto.

Cambio pelle.

Il desiderio di essere lassù sulla cima, per prima, lascia il posto alla tranquillità.

Mi sento piena, stabile.

Il cuore non è come sempre, ma non mi rallenta più come prima.

Sento che cinque ore di salita mi hanno stravolta dentro.

È come aver squarciato un velo, quello che mi faceva vedere tutto con un approccio più maschile, controllante.

Sulla cima io non arrivo.

Mi fermo poco sotto, con altre persone.

Il mio cammino non è vincere la punta.

È ritrovare me, le mie qualità, guardarmi e sostenermi.

È sganciarmi dall’approvazione esterna.

Aver sperimentato quanto incidono così velocemente le emozioni sul corpo fisico, mi cambia.

Così come aver sentito nascere un femminile differente. Ho pianto tanto per questa nascita. Un pianto antico, come quando ritrovi casa e finalmente ti puoi riposare e rallentare il passo.

Forte e Gentile, posso essere così. Con gli altri e prima con me stessa.

Stanno bene insieme, è una forza più femminile. Ugualmente forte ma ha caratteristiche diverse.

Quella montagna mi ha insegnato molte cose, alcune così profonde che è difficile tradurle in parole.

Il segno di quella montagna è impresso nel mio cuore, non è mai andato via, ritorna tachicardico ogni volta che cammino e mi faccio avvolgere da qualche pensiero forte.

Bussa con delicatezza adesso, io comprendo e lavoro dentro di me.

Siamo un’ottima squadra 😉

Ho fatto trekking decisamente più impegnativi negli anni seguenti, in Himalaya, nuovamente in Perù, sul Kilimangiaro, sul vulcano Rinjani in Indonesia.…

Ma i trekking più difficili li ho fatti dentro di me, raggiungendo luoghi che non sapevo esistessero.

Risvegliando sapienze interne depositate da millenni, da tutte le donne che fanno parte della coscienza collettiva femminile, da tutte le mie antenate.

Ed è questo che offro a voi.

Un femminile intero e pieno.

Erotico e Stabile.

Con Amore e Vita

Isabella

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